Bondì, mularia mata...
Questa volta affrontiamo l'argomento "sotterranei di Trieste"... argomento da me già affrontato, su questo blog, nel 2011... ma quel primo post era molto "leggero" ed un po' impreciso.
Questo, invece, è ben dettagliato e strutturato. Un po' lungo (soprattutto nelle parti puramente storiche), ma essenziale per conoscere un po' meglio -da profani- quest'interessante argomento.
Sia subito chiara una cosa; io tratterò soprattutto le leggende della tradizione orale locale, ma, accanto a quest'ultime, indicherò anche i riscontri effettivi, nella realtà, di tali leggende. Perché il mistero è bello, lo sappiamo, ma è anche bella la realtà (come non lo sanno, o meglio, non vogliono saperlo i vari giornalisti che, negli anni, han parlato dei sotterranei di Trieste con tanta, ma tanta fantasia e poca verità, a solo scopo di far "cassa" contando sul lettore casuale che, secondo loro, "si beve di tutto, non essendo addentro l'argomento").
Un'ultima cosa; per non creare casini nella lettura, vista la complessità dell'argomento e -ad esempio- l'intreccio di alcune leggende del primo '800 con quelle del secondo conflitto mondiale, ho deciso di dividere il post in blocchi di discussione, ognuno inerente ad un tema preciso ma -al tempo stesso- relazionato con gli altri.
A tutto questo, ovviamente, vengono aggiunti tanti miei pupoli fumetto, ora seri, ora scherzosi, ma tutti in tema ed utili per spiegare meglio il tutto. Anche perché tali pupoli, laddove se ne presenti l'occasione, sono storicamente e filologicamente corretti (ad esempio, si vedrà un Castello di San Giusto con una torretta con campanile ed orologio; non è una mia invenzione... esistette realmente una costruzione simile, in passato!).
Nota bene: Per visualizzare in grande alcuni disegni e/o immagini, cliccare sopra gli stessi.
Bene, andiamo ad iniziar... e, come inizio, ci catapultiamo subito nei primi anni dell '800, allorquando su Trieste iniziarono ad aleggiare venti di guerra... quelli delle Guerre Napoleoniche.
Ai francesi che combattevano strenuamente intorno al
Forte di San Vito, si unirono anche degli ex rivoluzionari presenti tra le
truppe solamente –fino a quel momento- come secondarie truppe d’appoggio.
Di
fronte all’ingresso del sotterraneo, sempre secondo la leggenda popolare, vi
era anche il sagrestano di San Giusto, l’anziano don Giuseppe Mainati che, pochi
anni più tardi, registrò nelle sue note “croniche” gran parte degli avvenimenti
guerreschi del 1813.
Don Mainati, fidatissimo amico del Rabié e su richiesta di quest’ultimo, decise di accompagnare la ragazza in salvo attraversando un passaggio sotterraneo che, dal castello conduceva istantaneamente fuori dall’immediato perimetro dello stesso.
Questa volta affrontiamo l'argomento "sotterranei di Trieste"... argomento da me già affrontato, su questo blog, nel 2011... ma quel primo post era molto "leggero" ed un po' impreciso.
Questo, invece, è ben dettagliato e strutturato. Un po' lungo (soprattutto nelle parti puramente storiche), ma essenziale per conoscere un po' meglio -da profani- quest'interessante argomento.
Sia subito chiara una cosa; io tratterò soprattutto le leggende della tradizione orale locale, ma, accanto a quest'ultime, indicherò anche i riscontri effettivi, nella realtà, di tali leggende. Perché il mistero è bello, lo sappiamo, ma è anche bella la realtà (come non lo sanno, o meglio, non vogliono saperlo i vari giornalisti che, negli anni, han parlato dei sotterranei di Trieste con tanta, ma tanta fantasia e poca verità, a solo scopo di far "cassa" contando sul lettore casuale che, secondo loro, "si beve di tutto, non essendo addentro l'argomento").
Un'ultima cosa; per non creare casini nella lettura, vista la complessità dell'argomento e -ad esempio- l'intreccio di alcune leggende del primo '800 con quelle del secondo conflitto mondiale, ho deciso di dividere il post in blocchi di discussione, ognuno inerente ad un tema preciso ma -al tempo stesso- relazionato con gli altri.
A tutto questo, ovviamente, vengono aggiunti tanti miei pupoli fumetto, ora seri, ora scherzosi, ma tutti in tema ed utili per spiegare meglio il tutto. Anche perché tali pupoli, laddove se ne presenti l'occasione, sono storicamente e filologicamente corretti (ad esempio, si vedrà un Castello di San Giusto con una torretta con campanile ed orologio; non è una mia invenzione... esistette realmente una costruzione simile, in passato!).
Nota bene: Per visualizzare in grande alcuni disegni e/o immagini, cliccare sopra gli stessi.
Bene, andiamo ad iniziar... e, come inizio, ci catapultiamo subito nei primi anni dell '800, allorquando su Trieste iniziarono ad aleggiare venti di guerra... quelli delle Guerre Napoleoniche.
I SEGRETI
PASSAGGI SOTTERRANEI DEL CASTELLO DI SAN GIUSTO, ALL’EPOCA DELLE “PROVINCE
ILLIRICHE” (1813)
Il 14 ottobre del 1809 il trattato di Schönbrunn
(trattato di pace firmato dall’Imperatore francese Napoleone Bonaparte e
l’Imperatore d’Austria Francesco I° d’Asburgo-Lorena) sancisce la cessione alla
Francia di tutti i territori adriatici, compresa Trieste. Undici "Province
Illiriche" vengono istituite sotto il governo del Maresciallo Auguste
Frédéric Louis Viesse de Marmont, primo duca di Ragusa:
- Adelsberg (Postumia) : Adelsberg (Postumia)
- Bouches-du-Cattaro (Bocche di Cattaro) : Cattaro
- Croatie (Croazia) : Karlstadt (Karlovac)
- Dalmatie (Dalmazia) : Zara
- Fiume : Fiume
- Gorice (Gorizia) : Gorizia
- Laybach : Laybach (Ljubljana)
- Neustadt : Neustadt (Novo Mesto)
- Raguse (Ragusa) : Ragusa
- Trieste : Trieste
- Willach : Willach (Villach)
Ma l’Austria
preme sempre di più per spodestare i francesi, e riprendere il pieno possesso
dei propri territori. Analogamente, in tutta Europa l’Impero Francese inizia a
collezionare sconfitte e perdite su vasta scala. Venti di guerra soffiano anche
alle porte di Trieste e dell’Istria.
Dopo solo pochi
anni dalla creazione delle Provincie Illiriche, hanno così inizio le “Guerre
Napoleoniche”.
Autunno 1813:
Il 5 ottobre del 1813, il Contrammiraglio Sir Thomas
Francis Fremantle della Royal Navy (la Marina di Sua Maestà britannica), giunse
a Trieste a cooperare con gli austriaci che, sotto la guida del generale Laval Nugent,
Conte di Westmeath, diedero inizio all’attacco al feudo napoleonico triestino
giungendo da terra.
Nel Castello si asserragliarono 800 uomini delle
truppe francesi guidate dal Colonnello Rabié, Commandant della Grande Armée
locale.
Tra le truppe austriache, scese dall’altipiano verso
la città, vi era pure il Tenente Samuel Chiollic von Loewensberg, da molti anni
nemico giurato del Rabié.
Le fasi della battaglia sono molto concitate
Il 10 ottobre, una batteria francese riuscì a sorprendere
ed attaccare la poppa della nave ammiraglia Milford, mentre quest’utlima era
prossima allo sbarco sulla spiaggia della riva di Sant’Andrea (più o meno nello
stesso punto dove oggi c’è l’ingresso basso del Centro Commerciale “Torri
d’Europa”); ma, in pochi minuti, il capitano John Duff Markland riuscì a
ribaltare la situazione, terminando con successo lo sbarco. Nel corso della
giornata, sulla spiaggia di S.Andrea sbarcarono oltre 2000 marines, portandosi
dietro vari pezzi d’artiglieria. Successivamente, gli uomini giunsero sotto il
Castello di San Giusto, iniziando un assedio sistematico allo stesso, e il 16
ottobre gli inglesi spararono verso il castello altri dodici cannoni della loro
batteria. Gli assedianti fecero costanti progressi, continuando a cannoneggiare
per giorni il castello, anche in ore notturne. In tali cannoneggiamenti, si
distinse in particolare la fregata ammiraglia “Mildford”, l’unica che poteva
scaricare proiettili di ferro, alias palle di cannone di 48 libbre.
Contemporaneamente veniva messo in atto dagli inglesi
–assieme agli ussari e ai landwerh austriaci- un pesantissimo attacco al piccolo
Forte di San Vito, detto “Sanza” (dal tedesco “Schanze”), posto sull’omonima
altura e oggi scomparso, facendo sbarcare sulla spiaggia di S.Andrea oltre 2000
Royal Marines. Fu un vera e propria carneficina, densa di spari e sangue a
fiumi.
Infine, il 29 ottobre i francesi capitolarono,
arrendendosi con l’onore delle armi. Di queste operazioni navali inglesi,
ricordiamo anche i Capitani Charles Rowley, della fregata “Aquila”, e il
precedentemente citato John Duff Markland, vice di Freemantle, sul Milford. E
ancora, i Comandanti Fairfax Moresby, della “Wizard”, e David Dunn, della
“Siren”, il Luogotenente William Hotham,
e il Comandante Charles Moore, William Watt, e i Guardiamarina Edward Hibbert e
Edward Young. La perdita totale sul lato britannico fu di 10 morti e 35 feriti.
Anche varie zone della città furono pesantemente
bombardate dalla flotta inglese. Ancora oggi si possono vedere i proiettili di
quei combattimenti infissi in case e palazzi triestini: tre palle sulla
facciata del Teatro Verdi, due su quella della Basilica di San Giusto,
altrettante sulla casa vicina di via Rota (la famosa “casa dei preti”), una
palla sulla villa di via Chiadino n.7 e altre in via Bazzarini n.20, sulla casa
di via Commerciale angolo Scala Lauri e in una soffitta di via Roma
(quest’ultima incastonata in una lapide-ricordo dell’epoca. Nel 2006, durante
dei lavori in una casa privata della zona di San Vito, fu ritrovato un
proiettile di 48 libbre, ovviamente proveniente dalla “Mildford”.
Ritornando
all’assedio da terra del Castello di San Giusto, gli austriaci erano ormai in
procinto di sfondare gli ultimi sbarramenti francesi. La sconfitta delle armate
napoleoniche triestine era ormai quasi certa.
Secondo
la leggenda (non confermata) l’allora Comandante della Grande Armée, il già
citato Colonnello Rabié, iniziando a temere una sempre più probabile vittoria
anglo austriaca, il 17 ottobre corse ad avvertire l’amata figlia Charlotte.
Charlotte
Noelle Rabié, una giovanissima e splendida ragazza ventunenne, in passato venne
già fatta oggetto di particolari e morbose attenzioni da parte del tenente
austriaco Samuel Chiollic von Loewensberg.
Pare
che quest’ultimo (che in seguito verrà ferito a morte negli scontri sul Forte
di San Vito) fosse effettivamente più attratto dalla ragazza, e così
interessato ad averla a tutti i costi, da mettere in secondo piano la sua
battaglia per l’effettiva presa del castello.
Quindi,
temendo soprattutto questa attrazione del suo più odiato nemico, il Col. Rabié
portò immediatamente la ragazza con sé facendola poi accomodare in una stanza
privata della “Casa del Capitano” (la torre del castello posta sul bastione
veneto, cioè quello rotondo che guarda verso il mare, oggi anch’esso adibito a
museo, e in parte visitabile).
In tale stanza, alla giovane ragazza vennero
fatti indossare degli abiti da popolana. Inoltre, il padre le diede pure una
veloce spettinata ai capelli ed una stropicciata ai vestiti, in modo di rendere
l’aspetto della figlia il più simile possibile ad una contadina di borgata. La
giovane non riusciva a capire il motivo di tale travestimento.
Successivamente
il Rabié e la figlia scesero nel Cortile delle Milizie fermandosi di fronte al
primo portoncino sulla sinistra, cioè l’ingresso del sotterraneo del bastione
rotondo. Ad attenderli vi erano un paio di uomini, tra i quali il Capitano
delle guardie, Jean-Philippe Rabelot ed il sottotenente Marc Gabriel Moreul .
Quest’ultimo spiegò alla ragazza che il camuffamento era essenziale, siccome si
era resa necessaria per lei una fuga dal castello onde evitare di cadere nelle
mani degli austriaci e, soprattutto, in quelle del famigerato Tenente von
Loewensberg.
Don Mainati, fidatissimo amico del Rabié e su richiesta di quest’ultimo, decise di accompagnare la ragazza in salvo attraversando un passaggio sotterraneo che, dal castello conduceva istantaneamente fuori dall’immediato perimetro dello stesso.
Così,
appena giunti sul fondo del sotterraneo veneto dell’omonimo bastione, il
Capitan Rabelot sollevò una pesante botola posta sul terreno; tale botola
conduceva ad un breve pozzetto verticale, munito di una piccola scala a pioli,
alto circa 3 metri.
Per
primo scese il Mainati, e poi Charlotte aiutata da un soldato.
Giunti
sul fondo del pozzetto, il Mainati indicò l’inizio di un lungo ed antico
percorso sotterraneo.
Il
percorso seguiva più o meno in linea retta la direttrice Tor Cucherna-Teatro
Romano, per poi finire, tra varie diramazioni, all’interno degli sfiatatoi del
Teatro stesso (allora coperto da costruzioni soprastanti), in alcune cantine
delle case intorno alle zone di via Crosada e Cavana, e nei sotterranei della
Chiesa di Santa Maria Maggiore, detta dei Gesuiti, e del vicino Collegio.
Da
lì, un’ulteriore via sotterranea (realmente esistente; è solo un ex condotto
fognario ottocentesco) permetteva di raggiungere i sotterranei-cantine della
casa ottocentesca Rotonda Pancera (o Panzera), noto palazzo neoclassico
(architetto Matteo Pertsch) posto di fronte a Piazzetta Barbacan, all’incrocio
con via Felice Venezian (ex via del Fontanone).
Probabilmente si trattava di
un’antica galleria quattro-cinquecentesca di contromina, adoperata in seguito
come possibile via di fuga dagli assedi alla fortezza di San Giusto (in tutta
la sua storia, il castello subì solo due assedi; questo del 1813, e quello del
1945 con le truppe naziste asserragliate nel castello, del quale ne parlo poco
più avanti in questo stesso post).
Il
Mainati e Charlotte Rabié inziarono, così, la loro discesa lungo il tortuoso
passaggio, illuminati solo dal fuoco di una torcia di legno.
Durante
il percorso, il Mainati cercò di rassicurare la spaventata ragazza, confermando
che il passaggio venne precedentemente usato dallo stesso Col. Rabié e da
alcuni uomini della sua truppa, per caricare dal basso alcuni pezzi
d’artiglieria trasportandoli poi fin dentro al castello. Inoltre, le disse chiaramente: "Per ogni problema, cara Signorina, le posso offrire tutto il mio aiuto, sempre, in ogni momento, anche adesso. Non la lascerei un attimo, tenendola ben stretta tra le mie grandi e sicure braccia!!"
Ad
un certo punto, presa una diramazione dritta, il passaggio sotterraneo
terminava di fronte ad un muro. Subito sopra la fine del passaggio si apriva
una botola di legno, che conduceva all’interno di una stalla posta nel cortile
della trattoria “Al Monte nero” di via Riborgo n.27 (trattoria già
precedentemente casermetta militare della guarnigione francese).
Nella stalla, ad
attendere i due -già in accordo col Col. Rabié ed il Mainati- c’erano l’oste
della trattoria, Stefan Rupnik, ed un lavapiatti.
Charlotte
Rabié riuscii così a nascondersi tra la popolazione, per poi fuggire in
Francia, e tornare nell’amata Trieste solo molti anni dopo, diventando amica e
confidente di Massimiliano d’Asburgo e Carlotta del Belgio, e soggiornando
spesso come ospite nella bella Villa Lazarovich.
Il Tenente von Loewensberg rimase, così, con un palmo di naso!!
Questa,
come detto, è solo una leggenda popolare… ma pare che il passaggio sia esistito
realmente, perlomeno fino al 1945, come vedremo tra poco.
IL TESORO NASCOSTO DEI FRANCESI (1813)
Poco tempo
prima di questi fatti, durante l'estate del 1813, un ufficiale della
guarnigione francese venne a conoscenza, informato dal Mainati, delle varie
manovre austriache di riconquista di Trieste.
Allora pensò
bene di trafugare un cofanetto contenente monete d'argento, costosissimi
monili, gioielli e preziosi vari, frutto delle ruberie napoleoniche nel
territorio triestino ed istriano.
Successivamente,
l'ufficiale nascose il cofanetto seppellendolo sotto un grande strato di terra,
di fronte al bastione rotondo (all'epoca ricoperto di vigneti e campi
coltivati), sperando in tempi più propizi per ritornare sul luogo, recuperare
il cofanetto e portarlo via con sé, in Francia.
Per indicare il
punto esatto del tesoro, l'ufficiale disegnò una mappa schematica del complesso
principale del campo e del castello, indicando con la classica "X" il
punto esatto dove scavare per recuperare il tesoro.
Nel 1909, proprio
sotto il bastione rotondo, nell'allora cortile interno di Villa Pillepich, il
giardiniere trovò casualmente la mappa tagliando alcune radici che fuoriuscivano
dal muretto a secco che delimitava il cortile della villa dai campi coltivati
posti nell'area dove oggi si trovano il foro romano ed il Monumento ai Caduti.
La signora
Pillepich non diede importanza alla mappa, lasciandola volentieri al
giardiniere che la tenne come curioso ricordo.
La notizia
sarebbe comunque trapelata, suscitando l'interesse di qualche possibile ladro a
conoscenza della storia del tesoro.
Negli anni
Venti del Novecento la leggenda del cosiddetto "tesoro dei francesi"
attecchì particolarmente, tanto che il quotidiano "Il Piccolo"
pubblicò la mappa del tesoro ritrovata dal giardiniere di Villa Pillepich, il
23 ottobre 1938, scatenando la fantasia dei cercatori. (la mappa venne poi
ripubblicata sul libro "Trieste exit" di Rino Baroni).
Qui sotto un
mio rifacimento della mappa originale:
Un'altra
versione di questo fatto vuole che anche la fortuna della famiglia Kalister -
proprietaria dell'omonimo palazzo in Piazza della Libertà - sia nata dal tesoro
dei francesi, ritrovato per puro caso da un giovane componente della famiglia
che, in sostanza, avrebbe eseguito lo scavo nel punto giusto ricevendo la
soffiata dell'ufficiale e di un altro militare francese, fregando questi ultimi
due e diventando, così, ricco sfondato.
Ma il tesoro e
la mappa, oggi come oggi possono venir considerati realtà o burla ben
architettata? Mah, tutto potrebbe essere. Personalmente credo che se c'era
qualcosa, essa sia stata già trovata e fatta sparire durante gli scavi svolti
negli anni '30 per la sistemazione del colle capitolino e dell'intera area di
cittavecchia, nell'ambito dei lavori noti con il nomignolo popolare di
"picon risanator".
Nell'800, Trieste visse la sua ultima grande ventata mitteleuropea, ma il tutto era destinato a sciogliersi come neve al sole, con l'avvento della Prima Guerra Mondiale.
A parte alcuni bunker e rifugi sul Carso, non si segnalano molte opere difensive ipogee della Grande Guerra presenti nella nostra città, ma sotto il campo di pattinaggio del Dopolavoro Ferroviario di Viale Miramare, si apre un piccolo rifugio dell'epoca successivamente conglobato in un altro analogo, ma risalente al secondo conflitto bellico. Ecco qui sotto una foto in bianco e nero, con gli speleologi dell'Adriatica intenti ad esplorare questo breve tratto di galleria austriaca:
Ritornando ai
collegamenti tra il castello e la cittavecchia, poc’anzi avevo citato il
collegamento con la trattoria “Al monte nero” di via Riborgo N. 27; nei
primissimi anni trenta del ‘900, un giornalista ebbe modo di ascoltare alcune
interessanti testimonianze attendibili, che in pratica confermerebbero che dal
cortile interno si dipartiva una galleria sotterranea (in seguito murata), alta
circa tre metri e larga due, da dove si poteva in parte accedere agli sfiatatoi
del Teatro Romano (allora –come già detto- sepolto sotto le case di “Rena
Vecia”), ma, soprattutto, raggiungere il castello.
Una conferma la si ebbe
dall’allora custode della chiesa anglicana, tale Carlo Felluga, che da giovane
lavorò nella trattoria, e vide di persona il passaggio, percorrendone un tratto
fin sotto l’attuale via Donota. Altre testimonianze di anziani confermavano le
notizie riguardanti i francesi ed il loro trasporto di carri e uomini
attraverso tale galleria.
Inoltre, sempre
nei primi anni ’30, un oste di nome Guglielmo Vranischi, proprietario
dell’osteria “ai sotterranei” (nomen omen!), disse di aver udito da bambino
(fine dell’800) il racconto di Giuseppe Cermel, un anziano ottantenne che raccontò
di come la guarnigione francese si tenesse in collegamento con la Guardia del
castello tramite il passaggio della trattoria “Al Monte nero” che, dal 1805
sino al 1809, era ancora una casermetta militare della stessa guarnigione
francese.
Del resto,
quando il Teatro Romano era ancora coperto dalle case, nei dintorni esistevano
due androne dai nomi di chiara origine; “Androna del buso” e “Androna dei
sotterranei”. Nel 1981, sull'allora nota rivista triestina "Il Meridiano" apparve, a firma Rosanna Santoro, un articolo sui sotterranei di Trieste che, in gran parte, riportava le varie dicerie, aneddoti e leggende sorte negli anni sul tema del sottosuolo artificiale di Trieste.
In tale articolo, ad esempio, si nominavano quasi tutte le gallerie comprese nel perimetro Cattedrale e Castello di San Giusto-Cittavecchia.
Qui sotto, alcune testimonianze raccolte allora da Il Meridiano:
Altri passaggi
nascosti nelle cantine delle case di cittavecchia prima della demolizione degli
anni trenta, erano quelli di via Crosada n.12 (dove, si narra, uscirono dei
prigionieri russi evasi dal castello nel 1917), via S.Maria Maggiore n.3, e la
cantina dell’osteria “Alla Marinella” di Androna della Marinella, quest’ultima una
laterale (oggi scomparsa) di via Crosada, e che si trovava più o meno sotto
l’attuale muraglione sotto la chiesetta di San Silvestro. In quella stessa
androna –voglio ricordarlo- vi si poteva trovare anche il magazzino sotterraneo
dove, nel 1908, furono “momentaneamente” collocate le famose tre mummie di
Crosada (poi dimenticate lì e tuttora –in teoria- giacenti lì, sotto il terreno
oggi asfaltato) delle quali ne parlai già qui: CLICCARE QUI, PER LA STORIA DELLE TRE MUMMIE
Altre
esplorazioni furono condotte nel 1927 da un giovanissimo Diego de Henriquez (il
famoso collezionista militare scomparso nel 1974 in un incendio, forse di
natura dolosa) ed Herbert Greenham, il figlio del viceconsole inglese di
Trieste. Secondo alcuni scritti, il de Henriquez avrebbe visto (il condizionale
è d’obbligo) anche la… “Camera Rossa”!!!
LA CAMERA ROSSA
(fine ‘800 e primi del ‘900)
TRIESTE, SOTTERRANEI DI SANTA MARIA MAGGIORE. TANTI,
TANTI ANNI FA...
UN SINISTRO VANO SOTTERRANEO POSTO SOTTO LA CHIESA DEI
GESUITI, CELA UN TERRIBILE SEGRETO; UN TRIBUNALE SEGRETO DELLA SANTA
INQUISIZIONE, CONOSCIUTO COME “CAMERA ROSSA” ( DAL COLORE SCARLATTO DEL MANTO
DELL’INQUISITORE ).
STRUMENTI DI TORTURA, OSSA UMANE, SCHELETRI DI DONNE,
UOMINI E BIMBI INCATENATI AL MURO. TERRIBILI TESTIMONIANZE DI ANTICHE BARBARIE
CHE, SECONDO LE LEGGENDE LOCALI, SI SAREBBERO CONSUMATE IN EPOCHE BUIE, SOTTO
IL PAVIMENTO DELLA CHIESA.
Di cosa parlo?
La cosiddetta “Camera Rossa” è un’altra nota leggenda del sottosuolo triestino,
la quale dice che sotto la navata sinistra della Chiesa di S.Maria Maggiore,
nascosta dietro un passaggio volutamente murato, dovrebbe trovarsi una piccola sala -con tanto
di vecchi strumenti di tortura abbandonati lì assieme a teschi, scheletri di
uomini e donne, e persino scheletrini di bimbi incatenati al muro- adibita a
segreto Tribunale della Santa Inquisizione.
Il “Pozzo delle Anime” presente
sotto la navata destra e tuttora visibile accanto all’ingresso dei sotterranei
della chiesa, sarebbe servito ai Padri Inquisitori per immergere e torturare i
condannati, in modo da farli confessare.
Il nome stesso
deriverebbe dal manto scarlatto del giudice inquisitore, contrapposto al nero
scurissimo dei boia incappucciati.
Le verifiche
degli speleologi della Società Adriatica di Speleologia-sezione Speleologia urbana
(condotte negli anni ’80), e le ricerche di alcuni studiosi locali di questo
particolare periodo storico (all’Università di Trieste è presente il miglior centro
di studi, in Europa, sull’Inquisizione) escluderebbero la presenza di tale
tribunale segreto, per ovvie discrepanze storiche con la realtà politica ed
ecclesiastica dei territori asburgici nella seconda metà del ‘600 (anno di
costruzione della chiesa). Gli scheletri e le ossa molto probabilmente erano
solo dei resti di frati sepolti lì nel passato. Però l’aura di mistero resta
tuttora.
LA COMMISSIONE
SEGRETA DI PUBBLICA SICUREZZA (1923)
Nel 1923 venne
istituita dal Prefetto di Trieste una Commissione di Pubblica Sicurezza, per
indagare sui sotterranei della cittavecchia e dintorni, allo scopo di prevenire
un uso improprio di questi ambienti da parte di ladri, contrabbandieri e
criminali vari che, in quegli ambienti, sin dagli inizi del ‘900 vi si
nascondevano per sfuggire, dopo le loro malefatte, alle ricerche della polizia.
Alla fine di
tali ricerche venne pure redatto un preciso memoriale di queste esplorazioni
che, però, forse per il caso o forse apposta, ad un certo punto sparì dalla
circolazione, senza lasciare più traccia alcuna!!
Negli anni ’80,
un funzionario di tale Commissione che volle rimanere anonimo, si confidò con
alcuni speleologi della sezione Speleourbana della Società Adriatica di
Speleologia, raccontando molti aneddoti in merito a quel lavoro dei primi anni
’20; ad esempio, l’ex funzionario raccontò di una galleria che dai
sotterranei-carceri del Collegio dei Gesuiti, una galleria scendeva fino al
mare, zona Piazza Unità. Un’altra galleria, che si dipartiva da una botola
posta nell’ex caserma dei Vigili Urbani in via dell’Ospitale n.2, raggiungeva
di nuovo i sotterranei del Collegio gesuitico.
E ancora; un
passaggio sotterraneo che univa l’ex vescovado con il Piazzale di San Giusto,
dove tuttora si può notare un boccaporto chiuso (vicino all’entrata del recente
ascensore per scendere nel nuovo Park S.Giusto). Poi altre gallerie in via
Crosada n.3 e nell’ex via del Pozzo Bianco n.3.
Qui sotto, una
mia riproduzione-fumetto di come doveva essere una pagina di questo memoriale
secretato e/o scomparso:
GUARDA, LA MULA
LA CAMINA DURA, LA GA PAURA DE LA PUNTURA…
GUARDA, LA MULA
LA CAMINA LESTA, LA GA PAURA DEL’OMO VESPA!!! (marzo-aprile 1932)
All’inizio del
mese di marzo del 1932, in città comparve un sinistro personaggio; un maniaco
seriale, subito ribattezzato dal popolo con il nomignolo dialettale scherzoso
ma anche inquitetante di “Omo Vespa”.
L’Omo Vespa si
divertiva a girare, nelle ore serali e anche in piena notte, in città –in particolare
nella zona della cittavecchia- tenendo a portata di mano un punteruolo
acuminato, un rudimentale rompighiaccio.
Con tale
punteruolo, poi, si divertiva a pungere le terga di giovani fanciulle, ree
secondo lui di essere volgari e scostumate.
Di questo
singolare personaggio, reso celebre dall’omonima canzonetta popolare cantata
già negli anni ’30, ne parlai già qui: CLICCA QUI PER LA STORIA DELL'OMO VESPA
E come scritto
nel post dedicato linkato poc’anzi, l’Omo Vespa all’epoca delle sue malefatte
aveva il suo nascondiglio privilegiato all’interno delle allora numerose
gallerie sotterranee di cittavecchia (anche se, in gran parte, si trattavano
solamente di semplici cunicoli di drenaggio ottocenteschi, scambiati dal popolo
per antichi passaggi siccome tali cunicoli avevano lo spazio abbastanza largo
per essere percorsi).
La polizia,
ovviamente, lo andò a cercare pure in questi ambienti poiché, come già detto, i
sotterranei erano allora ritrovo comune di malfattori, contrabbandieri e
quant’altro.
Un possibile
passaggio utilizzato dall’Omo Vespa per nascondersi era quello posto tuttora
nel sottoscala dello splendido (ma da anni, purtroppo, abbandonato) palazzo
neoclassico “Rotonda Pancera” (o Panzera) citato più sopra.
Nelle cantine
sotterranee di questo palazzo, difatti, dovrebbe ancora essere presente un
antico cunicolo di drenaggio dell’acqua che, passando sotto Piazzetta Barbacan,
raggiunge i sotterranei di S.Maria Maggiore e del vicino Collegio.
Sempre
all’epoca dei fatti, alcuni giovani temerari -più che altro per far colpo sulle
ragazze- provarono ad inseguire il famigerato maniaco armato di punteruolo
“sponziculdelemulone”, scendendo anch’essi lungo i sotterranei cittadini
entrando proprio dal sottoscala della Rotonda Pancera, per poi accedere al
cunicolo di drenaggio collegato con altri passaggi.
Nel mio pupolo
sottostante, Topolin Morbin e Pippo Nagana, mentre tentano di acciuffare il
mitico Omo Vespa, per poi consegnarlo alla giustizia:
I SEGRETI
PASSAGGI SOTTERRANEI DEL BUNKER “KLEINE BERLIN”, ALL’EPOCA DELLA ZONA
D’OPERAZIONI DEL LITORALE ADRIATICO (1944)
TRIESTE, 1944
UNO DEI PERIODI PIU’ DRAMMATICI NELLA STORIA DI
TRIESTE. LA CITTA’ E’ STATA, DI FATTO, ANNESSA AL TERZO REICH TEDESCO.
IL GAULETIER RAINER CONTROLLA TUTTO IL TERRITORIO,
DENOMINATO “ADRIATISCHE KUSTENLAND”, MENTRE A CAPO DELLA CITTA’ E’ STATO POSTO
L’UFFICIALE ODILO LOTARIO GLOBOCNIK.
NEMMENO LE FASI PIU’ DURE DELLA GUERRA ATTENUANO IL
SENSO DI SUPERIORITA’ DEI TEDESCHI, CONVINTI DI AVERE ANCORA LA SITUAZIONE IN
PUGNO.
A TRIESTE, NELLO STESSO ANNO, SI FESTEGGIA IN POMPA
MAGNA IL COMPLEANNO DEL FUHRER ADOLF HITLER, CON UNA GRANDE PARATA DEI SOLDATI,
LUNGO LE RIVE.
EPPURE LA GUERRA STA SUBENDO SEMPRE DI PIU’
UNA DURA SVOLTA NEI CONFRONTI DELLA GERMANIA NAZISTA. COSI’, GLOBOCNIK FA
COSTRUIRE UN PASSAGGIO SEGRETO SOTTO IL SUO COMANDO POSTO ALL'INTERNO DELLA
VILLA ARA, IN VIA ROMAGNA. UN PASSAGGIO SEGRETO CHE DAL SUO STUDIO POSTO AL
PIANO TERRA DELLA VILLA, TRAMITE UNA SCALA A CHIOCCIOLA RAGGIUNGE LA
SOTTOSTANTE RETE DI CUNICOLI E BUNKER DENOMINATA “KLEINE BERLIN” (
PICCOLABERLINO ).
La Kleine Berlin venne ideata da Odilo Globocnik stesso che allora era il capo della polizia germanica di Trieste, ovvero Höherer SS – und Polizeifuhrer .
Globocnik, nato a Trieste, fu uno dei più spietati criminali nazisti della storia. Già volontario delle Waffen-SS, tale personaggio fece una gran carriera in poco tempo giungendo, così, ai massimi vertici delle gerarchie delle SS, e divenendo poi vice e amico di Heinrich Himmler.
A Trieste, Odilo Globocnik operò nell’ambito dell’OZAK.
L’Ozak, ovvero l’acronimo tedesco di “ Zona d’operazioni del Litorale Adriatico (Operationszone Adriatisches Küstenland) fu una suddivisione territoriale comprendente le province italiane di Trieste, Gorizia, Udine, Pola, Fiume e Lubiana, sottoposta alla diretta amministrazione militare tedesca e quindi di fatto sottratta al controllo della Repubblica Sociale Italiana, alla quale ufficialmente apparteneva.
Fu istituita durante la seconda parte della Seconda guerra mondiale, nel settembre del 1943.
Dietro una porticina dell’ufficio di Globocnik in Villa Ara, vi era una botola di ferro che conduceva ad un piccolo pozzo quadrato (poi fatto riempire di materiali nell’immediato dopoguerra) da dove si poteva accedere ad una breve doppia scaletta, terminata la quale vi era un portone blindato. Superato questo portone, il moderno tunnel continuava per alcuni metri interrompendosi di fronte ad un grande pozzo circolare dove, scendendo lungo una scala a chiocciola di legno, si accedeva finalmente alla sottostante Kleine Berlin e, tramite un altro passaggio sotterraneo posto nel bunker stesso, alle cantine del Tribunale.
La “Kleine Berlin”, dove il Comando nazista di Trieste poteva operare in assoluta segretezza e sicurezza anche durante i bombardamenti angloamericani, era dotata di un accesso corazzato, più altri tre accessi nelle immediate vicinanze che, però, conducevano all’interno di gallerie italiane adibite a rifugio antiaereo per il personale delle poste e delle ferrovie. Le tre gallerie italiane ed il rifugio tedesco sono tuttora collegati fra di loro, e visitabili su richiesta, perfettamente restaurati e resi agibili dal CAT – Club Alpinistico Triestino. Già nel lontano 1983 tali ambienti furono visitati e ben documentati, per la prima volta dalla fine della guerra, dalla Società Adriatica di Speleologia-sezione Speleourbana di Trieste.
Della Kleine Berlin non esiste alcuna documentazione progettuale ufficiale. Questo perché Globocnik decise che il progetto doveva rimanere segreto persino alla gran parte dei lavoratori ed ingegneri impegnati nella costruzione del bunker.
Nel 1990, sul Messaggero Veneto venne pubblicata un’intervista all’ottantaquattrenne Donato Di Stasio, il capocantiere che tra il ’44 ed il ’45 coordinò i lavori del bunker. Il Di Stasio spiegò il perché di tanta segretezza nei lavori e nelle progettazioni, e di come, per pura fortuna, riuscì a sfuggire alle squadre della morte delle SS alle quali Odilo Globocnik aveva ordinato di “mettere a tacere” possibili testimoni del passaggio che, dal bunker, giunge in Villa Ara e nelle cantine del Tribunale!
Ecco qui sotto l’articolo (grazie a Paolo Guglia):
In seguito, nell’immediato dopoguerra, la prima parte delle tre gallerie antiaeree italiane collegate al bunker venne affitata dal Comune a privati, per tenere dentro damigiane di vino. Le damigiane arrivavano anche via vagoni ferroviari trasportati su gomma (grossi camion adibiti a tali trasporti). Tali usi delle gallerie vennero praticati soprattutto nei primi anni ’50, quando la città si trovava amministrata dal GMA (Governo Militare Alleato), nell’ambito del cosiddetto TLT – Territorio Libero di Trieste.
Qui sotto un mio pupolo fumetto, ambientato nel 1951 e raffigurante una delle gallerie-rifugio italiane di via Fabio Severo, quando venivano utilizzate, nei loro tratti iniziali, per la conservazione delle damigiane di vino:
Già nei primi anni ’60, invece, i tratti iniziali delle gallerie italiane vennero adibiti a magazzini dei vicini distributori di benzina, e dei rifugi antiaerei al loro interno non se ne parlò più fino alle prime esplorazioni condotte nei primi anni ’80 dagli speleologi urbani.
Tralascio il discorso dei numerosi rifugi antiaerei di Trieste, perché già ben descritti altrove. Però voglio lasciare una foto d'epoca del piccolo e nascosto rifugio di Piazza Belvedere, utilizzato nei primi anni '50 come magazzino della SELAD:
I SEGRETI PASSAGGI SOTTERRANEI DEL CASTELLO DI SAN GIUSTO, ALL’EPOCA DELLA DISFATTA NAZISTA, ALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE (1945)
Nell’aprile del 1945, le truppe naziste sono sull’orlo della sconfitta. Anche a Trieste, dove il Tribunale di via Fabio Severo e il Castello di San Giusto vengono posti sotto assedio. Al loro interno resistono varie truppe della Wehrmacht e delle SS.
Odilo Globocnik era ormai scappato in Carinzia, ed alcuni soldati ed ufficiali che erano a conoscenza di tutti i percorsi sotterranei della Kleine Berlin, fuggirono dall’assedio al Tribunale, scappando proprio attraverso il pozzo-scala a chiocciola che portava in Villa Ara, e pure attraverso un pozzetto d’areazione che sbucava all’interno del Palazzo Ralli sito in Piazza Scorcola, trovando così la salvezza e scampando alla cattura.
Per il Castello di San Giusto, questo del ’45 fu il secondo assedio di tutta la sua lunga storia (dopo quello del 1813).
Il castello era
stato precedentemente fortificato dai tedeschi, proprio per prevenire possibili
assedi ed attacchi via terra. Nella giornata del 30 aprile, a seguito
dell'insurrezione partigiana, vi si asserragliarono al suo interno circa 250
tedeschi (in massima parte marinai della Kriegsmarine) comandati
dall'Hafenkommandant Riegele. I partigiani, però, avevano in quel momento solo
armi leggere, per cui , dopo alcuni scambi di arma da fuoco con gli assediati
nella notte fra il 30 aprile e il 1 maggio, si fermarono in attesa di rinforzi
e non vi furono altri combattimenti. I tedeschi, senza che fossero sparati
altri colpi, si arresero alle 17 del 2 maggio ai neozelandesi del maggiore
Cross.
Secondo i
racconti popolari, poco prima di questa resa un maggiore delle SS avrebbe
scoperto, per caso, nel sotterraneo del bastione veneto (o rotondo) proprio
l’antica botola attraverso la quale fuggirono –come abbiamo visto più sopra-
alcuni uomini della guarnigione francese e la figlia del Colonnello Rabié (nel
1813), e alcuni prigionieri russi evasi dalle carceri del castello (nel 1917).
Sempre secondo
le varie testimonianze, alcuni soldati tedeschi delle SS e della Wehrmacht
sarebbero riusciti a fuggire anch’essi attraverso la galleria sotterranea. Un
soldato della Wehrmacht pare sia riuscito a fuggire fuoriuscendo da un pozzo
situato subito dietro l’attuale asilo “Tor Cucherna”, abbandonando lì la divisa
per poi mescolarsi tra la gente e, successivamente, riparare verso l’Austria.