Bondì, mularia mata…
Nel 1772, il notissimo Giacomo Casanova, di
ritorno dalla Polonia, aveva avuto occasione di fermarsi a Trieste.
La nostra città piacque subito al
quarantasettenne Marchese di Seingalt, tanto che più volte verrà citata anche
nelle sue “Memorie”, ovvero l’autobiografia del celebre avventuriero veneziano.
In via dei Capitelli, subito all’incrocio
con via Trauner, resiste ancor oggi, restaurato, un antichissimo palazzo che
nel 1750 ospitò un casinò; più precisamente “L’antico Casino dei Nobili”.
All’epoca, il proprietario del palazzo era
il conte Giacomo de Gabbiati, che di sua precisa iniziativa volle trasformarlo
in un luogo conviviale per altolocati signori della Trieste bene di allora,
dove si potevano tenere periodicamente riunioni serali, cene di gala, dibattiti
politici e incontri d’affari.
Ma –come in ogni casinò che si rispetti- l’attività
principale era il gioco. In particolare, il gioco d’azzardo!
“Un luogo quanto mai bello e lussuoso”… così
venne definito da Casanova, proprio nel suo libro di memorie. Casanova,
ovviamente, essendo un gran giocatore, spesso e volentieri si intratteneva in
questo casinò durante i suoi soggiorni triestini.
Qui sotto il palazzo “Casino dei Nobili”, in
un mio vecchio pupolo/fumetto del 2001:
Ma fu soprattutto un’altra la ragione che
spinse Casanova ad affezionarsi moltissimo alla nostra città. Sempre nel 1772, durante il carnevale, Casanova si presentò a Palazzo dei Leo. La nobile famiglia dei Leo
apparteneva alle storiche tredici casade triestine, e in quel periodo numerosissime
erano le feste organizzate nel palazzo; feste alle quali l’alta borghesia di
Trieste non poteva di certo mancare. E Casanova era richiestissimo nei salotti
buoni, quindi l'avventuriero veneziano iniziò a frequentare con una certa assiduità anche le feste di
Palazzo Leo.
Qui sotto il Palazzo dei Leo come si presenta oggi:
E durante la festa del carnevale 1772 –come dicevo
poc’anzi- Casanova fu ospite presso il palazzo. Ad un certo punto della serata, il
veneziano incontrò due maschere; un Arlecchino maschio ed un’Arlecchina
femmina.
I tre fecero subito amicizia, scambiandosi
numerose battute sagaci ed irriverenti, dimostrando a tutti i presenti un’autoironia
ed un’intelligenza veramente notevoli.
L’Arlecchino era quello che lanciava le
battute e le ironie più pungenti, ma il maggior interesse di Casanova era rivolto principalmente all’Arlecchina (e come dargli torto?).
Alla fine della festa vi fu l’obbligo di
tirarsi via le maschere, e… sorpresa; l’Arlecchina era il maschio, mentre l’Arlecchino
era la femmina!!
Casanova rimase alquanto stupito, ma, da
gentiluomo qual era, non mancò di complimentarsi immediatamente con i due
arlecchini, apprezzando il tiro ben riuscito (a carnevale ogni scherzo vale!).
L’Arlecchina femmina, una donna bellissima, era la figlia del padrone di casa.
L’Arlecchino maschio, invece, era il fratello.
Al termine della festa, tanto per non smentirsi,
Giacomo Casanova si ritirò assieme alla donna in una stanza privata del palazzo.
Lì, tra il buio complice della stanza e la passionalità della notte, tra i due nacque subito l'effervescente scintilla dell'amore. Un grande amore che durò per più di un anno; tra il 1772 ed il
1773, Casanova fece spesso delle puntate a Trieste per incontrarsi con la
donna.
In seguito, alla fine della loro storia
restò una lunga amicizia, consolidata soprattutto da una fitta corrispondenza.
Anche questo episodio verrà in seguito narrato dallo stesso
Casanova, nelle sue memorie.
Alla prossima
René