sabato 30 giugno 2012

IL CIVICO MUSEO DEL MORBIN PERDUTO

Bondì, mularia mata...

In un futuro lontano, in pieno 24° secolo, nell'antica città di Trieste si trova un museo.

Un museo? Nell'anno 2324?

A cosa serve un museo?

Nell'anno 2324, la Terra è oramai cambiata a livello geofisico... lo scioglimento delle calotte polari e vari cataclismi ed inquinamenti prodotti dall'uomo, hanno ormai ridotto il pianeta ad una gigantesca palla mezza desertica e mezza tropicale, con un'alta percentuale di zone radioattive difficilmente abitabili.

Senza contare le crisi economiche e sociali che hanno accelerato il processo, ormai irreversibile, di regredimento quasi totale (nonostante, in controtendenza, la tecnologia continui a fare passi giganteschi in ogni campo).

Chi può, molla tutto per raggiungere le stazioni orbitali, così come nel 19° secolo tante povere famiglie emigravano, armate solo di una misera valigietta di cartone, verso terre lontane e sconosciute, in cerca di una vita più dignitosa e sostenibile.

La letteratura di fantascienza, prima ancora che i sociologi, avevano previsto tutto ciò, seppur solo in un ambito di pura fantasia.

Ma è ormai risaputo che, a volte, la realtà supera di gran lunga anche la più fervida e strampalata immaginazione.

E la città di Trieste?

Trieste, purtroppo, iniziò già nel 20° secolo un cammino di autodistruzione. Prima per l'accanimento dei politici di malaffare, e successivamente per l'indifferenza stessa di una popolazione oramai abituata ad accettare tutto, senza reagire.
Il grande passato della città non è stato un buon insegnamento, e si è provveduto altresì a smantellare pian piano, tramite squallidi giochi di potere, uno status di Porto Franco Internazionale, il quale avrebbe potuto garantire alla città un futuro stabile, esentasse e totalmente autonomo, in sinergia con i grandi punti franchi mondiali. Questi ultimi delle vere e proprie oasi di benessere.


In questo mio pupolo: Trieste nel 2324 (click sul disegno per ingrandire)
Quindi, nel 2324 ben poco resta di Trieste, di quella Trieste che fu, se non solo le vestigia del suo splendido passato; i palazzi delle rive, ed i simboli come San Giusto, il Castello di Miramare ed il Faro. Colossali e vetusti testimoni di un tempo migliore che non tornerà, tutti ancora in piedi, ma anch'essi lasciati da secoli abbandonati a se stessi.

La restante Trieste è oramai dominata da lunghe autostrade sopraelevate, e grattacieli altissimi, costruti in metallo e plastica, su più livelli.
Potenti e facilmente manovrabili Skinn-Flyer biturbo a propulsione organica (nel futuro non si butta via niente!) solcano i cieli, un tempo patria dei gabbiani e dei colombi. Sulla terraferma, sfrecciano a velocità impressionanti dei veicoli senza ruote, che scivolano su un cuscinetto d'aria tramite piccoli campi magnetici.

La mentalità è divisa, come nel medioevo, tra ceti sociali piuttosto elevati, e ceti medio-bassi, i quali si guardano in cagnesco a vicenda.

La criminalità, manco a dirlo, è spesso di casa.

E allora, come dicevo all'inizio, a cosa serve un museo?

In un antichissimo palazzo, un tempo famoso, chiamato "Rotonda Pancera" e situato nella zona più vecchia della città, sorge, all'ultimo piano, un museo. L'unico museo rimasto ancora in attività.
La Rotonda Pancera

Esso è il "Civico Museo del Morbin perduto".




Questo museo non è segnato sulle carte, né sugli ormai scarsi depliant turistici. Nemmeno gran parte dei pochi triestini rimasti sospetta l'esistenza di un simile posto, situato all'ultimo piano della Rotonda Pancera.

In questo mio pupolo: portone d'ingresso del Museo del Morbin perduto, all'ultimo piano della rotonda Pancera

Solo chi ha voglia di guardarsi indietro, con coscienza, chiarezza, passione e determinazione, può arrivarci automaticamente.
Anche l'Eldorado, o la sacra terra di Agharti, sono ubicate nell'anima stessa dell'uomo. Se l'uomo non seguirà il proprio IO migliore, non potrà mai giungere in tali luoghi spontaneamente.




Non è richiesto un biglietto d'ingresso, ma solamente di lasciare sulla porta qualsiasi pensiero o modo di fare "moderno".

I visitatori non sono molti, anzi... però va bene così. Questo museo resta costantemente aperto per tutti coloro che vogliono annusare a pieni polmoni quell'aria stantìa, eppur così profumata, impressa su centinaia di libri, quadri, diari, fumetti, bamboline di pezza, manifesti, lanterne (ferai) con l'alabarda, antichi padelloni in vinile a 78 giri, radio di tutte le marche, con le valvole termoioniche e le manopole in bachelite, che servivano alla regolazione del volume e della sintonia.

Il custode di tal museo è una giovanissima e splendida ragazza mora, sui vent'anni, dai lunghi capelli fluenti come intense ondate di bora ventosa.
Si dice che essa sia in realtà una fata senza età, con il compito di preservare dall'oblio del tempo tutto ciò che di bello e realmente importante è stato fatto nei secoli passati.

In questo mio pupolo raffiguro la giovane e misteriosa (forse è una fata) custode - guida del Museo del Morbin perduto (click sul disegno per ingrandire)

Bene, allora lasciamo fuori dalla porta tutte le cose negative che ci portiamo appresso, ed entriamo...

Chi entra nel museo, viene subito circondato da un'aura magica di gentilezza e di tranquillità, le quali, continuando ad aleggiare tra quelle grezze mura, infondono sin da subito pace e serenità estrema all'occasionale visitatore.

Da ogni angolo del singolare museo saltano fuori in continuazione delle autentiche meraviglie, una dietro l'altra, che appaiono spettacolari all'occhio del casuale visitatore di turno. Ad esempio, può destar curiosità, in un mondo totalmente dominato dai computer e dalle tecnologie meccaniche e biologiche, una radiolina tascabile "Grundig Micro-Boy" degli anni '70 del 20° secolo.
Con questa semplice radiolina, ogni domenica a mezzogiorno in punto si potevano ascoltare le Maldobrie di Sior Bortolo, e le telefonate del fio de mama, o i racconti del Noneto. Tutti piccoli, grandi eroi della trasmissione radiofonica più patoca, "El Campanon".
Sempre con la stessa radiolina, verso l'inizio di dicembre, si potevano ascoltare su emittenti come "Radio Promotion Trieste" o "Radioquattro" tanti brani in dialetto tratti dall'allora annuale Festival della Canzone Triestina.


La prima sala che accoglie un vasto assortimento di materiale cartaceo, è la "sala Lino Carpinteri e Mariano Faraguna". In questa sezione, troviamo affastellati, uno sopra l'altro, numerosi numeri del giornale satirico pupazzettato "Marameo" risalenti agli anni '20, e tantissimi numeri de "La Cittadella", giornale satirico che fu creato e curato dai due autori ai quali questa sala è dedicata.

Poco più avanti si entra nella "sala Lelio Luttazzi", dedicata ai grandi musicisti ed intrattenitori patochi del passato, come Lorenzo Pilat e lo stesso Luttazzi, el mulo Ferucio alias Teddy Reno, ma anche Bruno Tramontini, Oscar Chersa, Andrea Guzzardi, Damiano Vitale, Roberto Urbano, UltrabulloTs, e tantissimi altri. E nell'aria risuonano note antiche, ora divertenti, ora dolci e appassionate, come "Finanziere", "Lassime star cussì", "Osmiza", "No steme romper, "Trieste xe bela col mar", "De Trieste fino a Zara", "I me ga dito", "Trieste mia", "Ancora un litro de quel bon", "L'Omo Vespa", "Bertolin", "Ai bai tu me la darai (la Flon Flon)", "Una fresca bavisela (Marinaresca)", ecc...

Un altro po' più avanti, e si entra nella "sala Angelo Cecchelin", dedicata a tutte le cose più strampalate di Trieste, come la Bora inscatolata, la fiasca eterna (dove il vino non smette mai di spillar fuori), oppure la particolare "fauna" triestina.

In questo mio pupolo: particolare della "sala Angelo Cecchelin", dedicata alla fauna di Trieste (click sul disegno per ingrandire)


Tanti sono gli oggetti del cuore patoco conservati dentro questo particolare e solitario museo, e tante sono le chicche... magari un altra volta ci torneremo per dare un'altra sbirciatina. Salutiamo la bella e gentilissima guida-custode, e ci accingiamo a varcare l'uscita.

Adesso il sole è quasi al tramonto, ed è tempo di tornare a casa, anche perché le odierne strade dell'anno 2324, come già detto, non sono molto sicure di sera.

La Trieste del futuro, nonostante tutto, può offrire ancora molte sorprese, ma di ciò ne parleremo un'altra volta.


   René

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