sabato 30 giugno 2012

IL CIVICO MUSEO DEL MORBIN PERDUTO

Bondì, mularia mata...

In un futuro lontano, in pieno 24° secolo, nell'antica città di Trieste si trova un museo.

Un museo? Nell'anno 2324?

A cosa serve un museo?

Nell'anno 2324, la Terra è oramai cambiata a livello geofisico... lo scioglimento delle calotte polari e vari cataclismi ed inquinamenti prodotti dall'uomo, hanno ormai ridotto il pianeta ad una gigantesca palla mezza desertica e mezza tropicale, con un'alta percentuale di zone radioattive difficilmente abitabili.

Senza contare le crisi economiche e sociali che hanno accelerato il processo, ormai irreversibile, di regredimento quasi totale (nonostante, in controtendenza, la tecnologia continui a fare passi giganteschi in ogni campo).

Chi può, molla tutto per raggiungere le stazioni orbitali, così come nel 19° secolo tante povere famiglie emigravano, armate solo di una misera valigietta di cartone, verso terre lontane e sconosciute, in cerca di una vita più dignitosa e sostenibile.

La letteratura di fantascienza, prima ancora che i sociologi, avevano previsto tutto ciò, seppur solo in un ambito di pura fantasia.

Ma è ormai risaputo che, a volte, la realtà supera di gran lunga anche la più fervida e strampalata immaginazione.

E la città di Trieste?

Trieste, purtroppo, iniziò già nel 20° secolo un cammino di autodistruzione. Prima per l'accanimento dei politici di malaffare, e successivamente per l'indifferenza stessa di una popolazione oramai abituata ad accettare tutto, senza reagire.
Il grande passato della città non è stato un buon insegnamento, e si è provveduto altresì a smantellare pian piano, tramite squallidi giochi di potere, uno status di Porto Franco Internazionale, il quale avrebbe potuto garantire alla città un futuro stabile, esentasse e totalmente autonomo, in sinergia con i grandi punti franchi mondiali. Questi ultimi delle vere e proprie oasi di benessere.


In questo mio pupolo: Trieste nel 2324 (click sul disegno per ingrandire)
Quindi, nel 2324 ben poco resta di Trieste, di quella Trieste che fu, se non solo le vestigia del suo splendido passato; i palazzi delle rive, ed i simboli come San Giusto, il Castello di Miramare ed il Faro. Colossali e vetusti testimoni di un tempo migliore che non tornerà, tutti ancora in piedi, ma anch'essi lasciati da secoli abbandonati a se stessi.

La restante Trieste è oramai dominata da lunghe autostrade sopraelevate, e grattacieli altissimi, costruti in metallo e plastica, su più livelli.
Potenti e facilmente manovrabili Skinn-Flyer biturbo a propulsione organica (nel futuro non si butta via niente!) solcano i cieli, un tempo patria dei gabbiani e dei colombi. Sulla terraferma, sfrecciano a velocità impressionanti dei veicoli senza ruote, che scivolano su un cuscinetto d'aria tramite piccoli campi magnetici.

La mentalità è divisa, come nel medioevo, tra ceti sociali piuttosto elevati, e ceti medio-bassi, i quali si guardano in cagnesco a vicenda.

La criminalità, manco a dirlo, è spesso di casa.

E allora, come dicevo all'inizio, a cosa serve un museo?

In un antichissimo palazzo, un tempo famoso, chiamato "Rotonda Pancera" e situato nella zona più vecchia della città, sorge, all'ultimo piano, un museo. L'unico museo rimasto ancora in attività.
La Rotonda Pancera

Esso è il "Civico Museo del Morbin perduto".




Questo museo non è segnato sulle carte, né sugli ormai scarsi depliant turistici. Nemmeno gran parte dei pochi triestini rimasti sospetta l'esistenza di un simile posto, situato all'ultimo piano della Rotonda Pancera.

In questo mio pupolo: portone d'ingresso del Museo del Morbin perduto, all'ultimo piano della rotonda Pancera

Solo chi ha voglia di guardarsi indietro, con coscienza, chiarezza, passione e determinazione, può arrivarci automaticamente.
Anche l'Eldorado, o la sacra terra di Agharti, sono ubicate nell'anima stessa dell'uomo. Se l'uomo non seguirà il proprio IO migliore, non potrà mai giungere in tali luoghi spontaneamente.




Non è richiesto un biglietto d'ingresso, ma solamente di lasciare sulla porta qualsiasi pensiero o modo di fare "moderno".

I visitatori non sono molti, anzi... però va bene così. Questo museo resta costantemente aperto per tutti coloro che vogliono annusare a pieni polmoni quell'aria stantìa, eppur così profumata, impressa su centinaia di libri, quadri, diari, fumetti, bamboline di pezza, manifesti, lanterne (ferai) con l'alabarda, antichi padelloni in vinile a 78 giri, radio di tutte le marche, con le valvole termoioniche e le manopole in bachelite, che servivano alla regolazione del volume e della sintonia.

Il custode di tal museo è una giovanissima e splendida ragazza mora, sui vent'anni, dai lunghi capelli fluenti come intense ondate di bora ventosa.
Si dice che essa sia in realtà una fata senza età, con il compito di preservare dall'oblio del tempo tutto ciò che di bello e realmente importante è stato fatto nei secoli passati.

In questo mio pupolo raffiguro la giovane e misteriosa (forse è una fata) custode - guida del Museo del Morbin perduto (click sul disegno per ingrandire)

Bene, allora lasciamo fuori dalla porta tutte le cose negative che ci portiamo appresso, ed entriamo...

Chi entra nel museo, viene subito circondato da un'aura magica di gentilezza e di tranquillità, le quali, continuando ad aleggiare tra quelle grezze mura, infondono sin da subito pace e serenità estrema all'occasionale visitatore.

Da ogni angolo del singolare museo saltano fuori in continuazione delle autentiche meraviglie, una dietro l'altra, che appaiono spettacolari all'occhio del casuale visitatore di turno. Ad esempio, può destar curiosità, in un mondo totalmente dominato dai computer e dalle tecnologie meccaniche e biologiche, una radiolina tascabile "Grundig Micro-Boy" degli anni '70 del 20° secolo.
Con questa semplice radiolina, ogni domenica a mezzogiorno in punto si potevano ascoltare le Maldobrie di Sior Bortolo, e le telefonate del fio de mama, o i racconti del Noneto. Tutti piccoli, grandi eroi della trasmissione radiofonica più patoca, "El Campanon".
Sempre con la stessa radiolina, verso l'inizio di dicembre, si potevano ascoltare su emittenti come "Radio Promotion Trieste" o "Radioquattro" tanti brani in dialetto tratti dall'allora annuale Festival della Canzone Triestina.


La prima sala che accoglie un vasto assortimento di materiale cartaceo, è la "sala Lino Carpinteri e Mariano Faraguna". In questa sezione, troviamo affastellati, uno sopra l'altro, numerosi numeri del giornale satirico pupazzettato "Marameo" risalenti agli anni '20, e tantissimi numeri de "La Cittadella", giornale satirico che fu creato e curato dai due autori ai quali questa sala è dedicata.

Poco più avanti si entra nella "sala Lelio Luttazzi", dedicata ai grandi musicisti ed intrattenitori patochi del passato, come Lorenzo Pilat e lo stesso Luttazzi, el mulo Ferucio alias Teddy Reno, ma anche Bruno Tramontini, Oscar Chersa, Andrea Guzzardi, Damiano Vitale, Roberto Urbano, UltrabulloTs, e tantissimi altri. E nell'aria risuonano note antiche, ora divertenti, ora dolci e appassionate, come "Finanziere", "Lassime star cussì", "Osmiza", "No steme romper, "Trieste xe bela col mar", "De Trieste fino a Zara", "I me ga dito", "Trieste mia", "Ancora un litro de quel bon", "L'Omo Vespa", "Bertolin", "Ai bai tu me la darai (la Flon Flon)", "Una fresca bavisela (Marinaresca)", ecc...

Un altro po' più avanti, e si entra nella "sala Angelo Cecchelin", dedicata a tutte le cose più strampalate di Trieste, come la Bora inscatolata, la fiasca eterna (dove il vino non smette mai di spillar fuori), oppure la particolare "fauna" triestina.

In questo mio pupolo: particolare della "sala Angelo Cecchelin", dedicata alla fauna di Trieste (click sul disegno per ingrandire)


Tanti sono gli oggetti del cuore patoco conservati dentro questo particolare e solitario museo, e tante sono le chicche... magari un altra volta ci torneremo per dare un'altra sbirciatina. Salutiamo la bella e gentilissima guida-custode, e ci accingiamo a varcare l'uscita.

Adesso il sole è quasi al tramonto, ed è tempo di tornare a casa, anche perché le odierne strade dell'anno 2324, come già detto, non sono molto sicure di sera.

La Trieste del futuro, nonostante tutto, può offrire ancora molte sorprese, ma di ciò ne parleremo un'altra volta.


   René

domenica 24 giugno 2012

METTI UN LORENZO PILAT IN LIBRERIA LOVAT - 25 MARZO 2012

Bondì, mularia mata...

25 Marzo 2012 

Prendi un Lorenzo Pilat dal saccoccio delle meraviglie sonore di casa nostra, e lo metti dentro una libreria. Non una libreria qualsiasi, ma la Lovat, ovvero quella bella libreria-bar-ritrovo situata nel comprensorio dell'ex Standa di Viale XX Settembre, a Trieste.

Poi, aggiungi un pizzico di pubblico caloroso ed affezionato, comprendente gente di tutte le età, un bravo e gentilissimo moderatore -il bravissimo musicista Fabio Jegher- armato di microfono, e successivamente condire con un bel po' di sole di inizio primavera, per colorare il tutto.

Ecco, infine, il piatto pronto: un bel pomeriggio tra aneddoti e canzoni, in compagnia del nostro più beneamato cantautore, Lorenzo Pilat !



Il sottoscritto è presente assieme ad alcuni cari amici, tra i quali vi è l'amico comune (di Pilat e del sottoscritto, intendo) Bruno Pause, ex conduttore radiofonico e collezionista di dischi (di Elvis Presley, poiché Bruno, in pochi lo sanno, è il massimo collezionista europeo dei dischi del King, ed in misura minore anche di altri artisti), e il poeta "Cesarone" con la figlia.
Il pomeriggio canoro-discorsivo ha inizio con una bella versione della sua canzone romantica, in dialetto triestino, più bella di sempre... "Lassime star cussì".
Nonostante l'età (Pilat, ha da poco compiuto 74 anni!), la voce è ancora molto buona, e la verve ed il sentimento che mette nelle sue interpretazioni sono rimaste pressoché intatte:


Subito dopo è il momento delle prime domande da parte del pubblico, riguardanti perlopiù la sua attività canora con il Clan di Celentano, negli anni '60, dove Lorenzo era noto con il nome d'arte Pilade", con il quale nel 1964 debuttò come cantante sulla scena nazionale, vincendo ad Asiago la primissima edizione del "Festivalbar" !



Si prosegue poi con un breve excursus sul suo operato d'autore di canzoni per altri famosi cantanti della scena nazionale ed internazionale:


Subito dopo giunge l'aneddoto di Lorenzo in merito alla sua canzone più famosa nel mondo, portata al successo dal cantante gallese Tom Jones. Sto parlando ovviamente di "Love Me Tonight", che ancor oggi è uno dei più massimi successi internazionali nell'ambito della musica leggera, e fece guadagnare allo stesso Pilat un prestigioso Grammy Award, quest'ultimo un premio veramente molto importante, e del quale solo pochissimi artisti italiani possono fregiarsi:


Ma Pilat, come molti sanno, incominciò la carriera come molti suoi coetanei, alla fine degli anni '50, cantando il Rock 'n Roll, il Blues, il Country, e innumerevoli altri generi del folklore e della musica nordamericana.
Ecco quindi un bel medley, si parte con un assaggio di "Sixteen Tons", un folk-blues di Merle Travis, che parla delle dure condizioni di vita dei minatori:


Un istante dopo, spazio ad uno dei più leggendari cavalli di battaglia del Pilat "entertainer"... "Mule Skinner Blues", un antichissimo Country-blues di oltre cent'anni fa, in Italia meglio conosciuto come "Il Blues del Mandriano":


A conclusione dell'angolo "U.S.A.", un bellissimo medley delle più famose canzoni di Elvis Presley, in omaggio al sottoscritto e a Bruno Pause, storici estimatori del King, come del resto lo è lo stesso Pilat, da tantissimi anni:


Intanto, fra una canzone e l'altra, le domande e le richieste di dediche da parte del pubblico continuano, incessanti.
E finalmente, dopo un lungo ed apprezzato raccontarsi di Pilat, ricordando anche la sua infanzia nella povertà e negli orrori della 2° Guerra Mondiale (allorquando da bambino vedeva sfilare i carri armati nazisti di fronte a casa sua, in via Fabio Severo, nei pressi del famoso bunker "Kleine Berlin"), e la sua gioventù negli anni dell'amministrazione anglo-americana di Trieste (1947 - 1954), ecco finalmente giungere il suo repertorio più amato da sempre, il folklore triestino. 
Si parte subito con la canzone folkloristica più famosa a Trieste, ovvero "El Tram de Opcina". Canzonetta-marcia dedicata all'incidente occorso ad una vettura del famoso tram triestino, il 10 ottobre del 1902:


Poi, ecco un altro gustoso medley di pezzi popolari e folkloristici triestini... son tutte canzoni di 80 e più anni fa, ma le cantano ancora tutti con piacere, bambini compresi!!!
Ed in coda a questo medley, una canzone oramai simbolo del Pilat autore locale, ovvero la sua pazzoide e sempre divertente "Cavala Zelante":


Dopo un altro paio di domande da parte del pubblico, e le successive risposte di Pilat, ecco un'altra canzone in dialetto, questa volta recentissima, composta appena l'anno scorso per il suo ultimo cd folkloristico... la ormai già più che apprezzata "Toio":


Infine, dopo un altro po' di piacevole "ciacolada" con il pubblico, Lorenzo saluta tutti con una sua bellissima composizione, sempre in dialetto triestino, "Trieste piena de mar":


Al termine del pomeriggio, io e Bruno Pause siamo andati a salutare il nostro caro amico... ed amico di tutti i triestini, parlottando un po' di tutto, da Elvis a Internet, da un concerto mancato (a Lubiana, nel 1987) di Jerry Lee Lewis, fino ad arrivare ai miei pupoli (lasciatemelo dire che sono onoratissimo di avere Pilat fra i miei "fans" più fedeli che seguono volentieri i miei disegni).



Un piccolo e tutto sommato stringato resoconto di un live acustico di Pilat molto particolare; particolare per l'ambientazione (in una libreria, per l'appunto) e per il contesto (un'intervista-incontro aperta con un pubblico, non vastissimo, ma come detto più sopra molto caloroso ed attento).

Permettetemi infine di ringraziare l'amico Alex, per i video del pomeriggio (tratti dal suo canale "principeadalex2").

Un saluto, alla prossima...


    René

TILILILOCKA POPOCKA - "La ballata di Druse Mirko" (antica filastrocca popolare triestina)

Bondì, mularia mata...

Oggi voglio parlarvi di un'antica, ma abbastanza conosciuta filastrocca popolare triestina, nata sui versi in rima di un personaggio letterario, un tempo notissimo a Trieste, creato dall'inossidabile duo di scrittori-giornalisti-autori Lino Carpinteri e Mariano Faraguna.

Il personaggio in questione è il "Druse Mirko".



Druse Mirko, era una rappresentazione scherzosa ma anche abbastanza inopportuna, dato il periodo (inizio anni '50), del contadino carsolino di origine slovena. All'epoca, tale personaggio furoreggiava sulle pagine de "La Cittadella", inserto umoristico del quotidiano locale Il Piccolo.
Il frasario del Druse Mirko era tutto composto da rime assurde, composte in uno stralunatissimo e simpatico dialetto triestino-carsolino, mezzo inventato dagli autori a scopo satirico.

Da questi testi, nacque direttamente dal popolo un'altrettanto simpatica filastrocca - ballata, intitolata: "Tlililocka Popocka" (conosciuta anche con un altro titolo simile, "Tirajloska Poposka"), ovvero "la ballata di Druse Mirko" !

Qui di seguito vi voglio postare una mia personale interpretazione di tale filastrocca. La mia voce l'ho modificata, accelerandola un po', in maniera di dare un effetto volutamente scherzoso all'interpretazione stessa.

Subito sotto il video, trovate anche la trascrizione del testo con, fra parentesi, la mia traduzione.



Testo e traduzione:

Mi je 'ndado in Piaza Granda
mi je 'ndà veder parada
mi ga sbrissado su na gran cag@da
tuto cùl me go sporcà

(Sono andato in Piazza Unità d'Italia,
per andare ad assistere ad una grande parata
purtroppo però, sono scivolato su una deiezione canina
e così mi sono macchiato in malo modo le parti basse dei pantaloni)

Mi je 'ndado in Molo Audaze
mi ga visto sposalizio
mi ga pensà fussi comizio
bomba a man mi ga tirà

(Sono andato a passeggiare sul Molo San Carlo,
oggi noto come Audace,
ed ho visto degli sposi, con tanta gente intorno,
ma chissà come ho pensato sul momento ad un comizio politico
ed allora ho fatto valere il mio modesto punto di vista)

Mi je 'ndado in Cafe Speci
mi ga hordinado vin con late
me ga portà risi e patate
go magnà perché jera bon!

(Sono tornato in Piazza Unità d'Italia, per fare un veloce breakfast nel Caffé degli Specchi.
Nel suddetto locale ho ordinato un calice di refosco con l'aggiunta di un po' di latte, ma, forse per distrazione del cameriere, mi è stato servito un piatto di risi con patate... ho gradito lo stesso, perché tutto sommato non è poi così male)

Mi je 'ndado in drogheria
mi ga ciolto chilo gesso
mi ga piturado tuto cesso
come Gioto jera mi

(Dopo essermi lautamente rifocillato al Caffé degli Specchi, mi sono successivamente recato dal droghiere per comprare un chilo di solfato di calcio, il quale è stato poi usato dal sottoscritto come ingrediente fondamentale nell'accurata tinteggiatura del mio water closet. Una tinteggiatura praticata, oserei affermare, con la stessa aulica grazia di Giotto di Bondone, noto pittore italiano vissuto a cavallo tra il duecento ed il trecento)

Mi je 'ndado in Pescheria
mi ga ciolto chilo guati
me ga magnado tuto gati
nianca spin i me ga lassà

(Sono ritornato in città per recarmi in Pescheria. Qui, ho comprato un chilo di ghiozzi freschi freschi, ma, ahimé, giunto al mio casolare i ghiozzi sono poi stati mangiati e spolpati fino all'osso da alcuni felini randagi)

Ultima parte romantica...

Mi je 'ndado fina in viale
a veder fiera de S.Nicola..
Iera fioi che zogava a bala
e colombi molava drek!

(Alla sera mi sono recato in Viale XX Settembre, per gironzolare un po' tra le allegre e coloratissime bancarelle dell'annuale Fiera di S.Nicolò.. intorno c'erano i ragazzini che giocavano a pallone, mentre sopra le nostre teste alcuni piccioni impudenti scaricavano di getto il loro disgustoso guano)

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         René

venerdì 22 giugno 2012

IL CASTORINO SCOVAZZINO DI RIO OSPO!

Bondì, mularia mata...

Oggi vi voglio segnalare un altro animale triestino, tipicamente triestino, dai più quasi sconosciuto perché rarissimo, o perché spesso confuso con la nutria, alla quale assomiglia moltissimo.

Sto parlando del Castorino Scovazzino di Rio Ospo (Ospotrash River) !!!!

Il "CASTORINO SCOVAZZINO" di Rio Ospo (Muggia - TS)


Come detto più sopra, il Castorino Scovazzino assomiglia alla nutria, ma in realtà si tratta di un rarissimo esemplare di animale triestino, noto con il nome scementifico di Castor Rupos.

Un esemplare di Castorino Scovazzino, mentre esce dal Rio Ospo per raggiungere la terra ferma


Il Castorino Scovazzino è un pinnipede peloso, molto comune nella zona del Rio Ospo. Si ciba prevalentemente di vecchi copertoni abbandonati, pezzi di lamiera arrugginita, cartoni di Tavernello, polpacci umani, e, in generale, di qualsiasi schifezza gettata nel piccolo, grazioso e ridente corso d'acqua sito in prossimità di Muggia (TS). 

La bellissima flora di Rio Ospo, dove vivono gli esemplari di Castorino Scovazzino





Solitamente, sul fondo del fiume stesso, il Castorino Scovazzino scava delle gallerie lunghissime (addirittura 3 millimetri !!!) per depositarvi le uova.
Queste ultime sono di colore marroncino, come gli ovetti Kinder, con la sola variante che gli ovetti Kinder sono marroncini perché sanno di cioccolata, mentre le uova del Castorino Scovazzino sono marroncine perché sanno di....... ecosistema del Rio Ospo!!

Una foto illustrante la meravigliosa barriera corallina del Rio Ospo, dove il Castorino Scovazzino depone le uova

Piccola imbarcazione da diporto, affondata nel Rio Ospo dopo un piccolo incidente. Anche qui si possono trovare delle tane di Castorino Scovazzino

Un esemplare di Castorino Scovazzino, mentre si dispera dopo aver smarrito le chiavi di casa.


Di solito questi castorini sono animali poco socievoli ed abbastanza pericolosi per l'uomo. Quindi, non tentate di avvicinarvi a queste bestiole, perché potrebbero saltarvi addosso all'improvviso, per pettinarvi i capelli, adottando pure la messa in piega ed il colpo di sole!

Un pescatore di perle all'opera su un argine del Rio Ospo

Un tank russo della II° Guerra Mondiale, sul fondo del Rio Ospo


Il verso tipico del Castorino Scovazzino è un suono basso e gutturale, lamentoso, che fa all'incirca così: mmmdfjsdesrrrrhhhh... mmmmm... mrd... p0rc@... checzz0v0l€demi... strnz... mmmm... 

Un pescatore muggesano, rimasto impigliato in qualcosa di anomalo mentre pescava castorini nel Rio Ospo...

Per poter osservare un Castorino Scovazzino nel suo habitat acquatico, basta salire a bordo di una comodissima "Butilia Sotomarina", messa gentilmente a disposizione dalla locale Azienda di Soggiorno e Turismo in Rio Ospo:

BUTILIA SOTOMARINA, mentre viaggia tra i fondali azzurri ed incontaminati del Rio Ospo


ATTENZIONE: se doveste avvistare qualche esemplare di Castorino Scovazzino  ferito e/o in difficoltà, non fate nulla di vostra iniziativa, ma tuffatevi subito nelle acque del Rio Ospo e raggiungete subito il più vicino ACQUAFONO, per chiamare immediatamente la Guardia Costiera, il biologo triestino Diego Manna, la Débegnac, oppure la più vicina profumeria (non per il castorino, ma per voi... uscire dal Rio Ospo, con addosso olezzi d'ogni genere, non deve essere assai piacevole):

Uno dei 14 acquafoni presenti sul fondo del Rio Ospo, utilissimo per le chiamate d'emergenza se sprovvisti di cellulare

Un esemplare di questi castorini, imbalsamato, impagliuzzato e abbronzato, è visibile a Colludrozza (Sgonico - TS), che fa bella mostra di sé, incorniciato, su una parete della taverna di Boris Pirjevec, negli anni '70 noto maniaco sessuale di Albaro Vescovà.

Pescatore friulano, mentre draga i fondali del Rio Ospo alla ricerca di castorini scovazzini

Una tipica serata danzante di un sabato sera qualsiasi, sui fondali del Rio Ospo!


   In fede (poca a dir la verità) René

giovedì 14 giugno 2012

I RACCONTI TRIESTINI DI NONETA PAPERA: LA DAMA BIANCA DI CITTAVECCHIA

Bondì, mularia mata.

Oggi inizia un'altra serie di questo blog, dedicata ai più antichi e misteriosi racconti triestini.
Storie di fantasmi, di personaggi misteriosi, di dame bellissime e sfortunate, e tanto altro, raccontati da una nonnina triestina. Non una nonnina triestina, tipicamente triestina qualsiasi, ma "NONETA PAPERA" !

Noneta Papera, ogni tanto raduna il proprio nipotame, alla sera, in una soffitta affacciata sulle Rive (nei pressi dell'antica Pescheria Centrale, alias chiesa di "Santa Maria del Guato"). Poi, accanto al luminoso calore di una piccola lampada ad olio, inizia a narrare un racconto misterioso ambientato a Trieste.

Questa volta siamo invitati pure noi, ma facciamo piano... l'ambiente è piccolo e rasserenante, come può esserlo una piccola ma accogliente soffitta di una vetusta casa dei bei tempi andati.

Un mio pupolo, raffigurante Noneta Papera ed i suoi nipoti, nell'antica soffitta della stessa noneta (click sul pupolo/disegno per ingrandire)

NONETA PAPERA: Muli mii, vegni' qua... vegni', vegni', no ste ver paura. No ve magno, sa!

PAOLIN PAPERIN: Noneta, me go dovesto far tute le scale fin a sta sufita (dopo 8 piani e passa), perché sto remengo de ascensor xe roto. Tanto per cambiar go sempre na sfiga per amica del cuor!!!

QUI: Te lo...

QUO: Gavevimo dito...

QUA: Zio Paperin !

NONETA PAPERA: Bon bon, indiferente... desso ste' ziti e boni, che ve conto una... dunque, vualtri save' la storia dela Dama Bianca?

PAOLIN PAPERIN: Càmatina... per forza che la savemo... noaltri semo triestini patochi, sa?
Miga de Burbank, come Uol Disnei...

QUI: Xe la storia de na dama fantasma...

QUO: Che ogni note la apari in castel vecio de Duin...

QUA: Pe' vagar disperada, ala ricerca de su fio!!!

NONETA PAPERA: No, no, no... no intendo quela, orco can baloco, ma n'altra dama bianca... la Dama Bianca de Citavecia!!!

PAOLIN PAPERIN: La Dama Bianca de Citavecia??? E chi xe, la dona del late?

NONETA PAPERA: Ma che late e late de dindio, muss de mona de nipote tandul e beco! ... la Dama Bianca de Citavecia la iera un fantasma... come quel de Duin, po'.

La soffitta di Noneta Papera, vista dall'esterno (click sul pupolo/disegno per ingrandire)


Desso ve conto tuta la storia... dunque, se narava molto tempo fa del fantasma de na mula dala beleza sconvolgente, coverta de un lungo velo bianco. Sta mula usava aparir con un sguardo più morto che vivo (e te credo!), nel bel mezo dela cità... talvolta anca in Piaza Granda, per poi incaminarse sempre longo la riva de Citavecia, fin suso a San Giusto, indove che la scompariva in tel logo a ela più usual, overo el vecio zimitero che iera là vizin, nei pressi del'ex Giardin del Capitan.

El tuto iera acadudo nel lontan anno de grazia (e anca de Grazino, Graziela e Graziano) 1833, e in qualche antico tomo de storia triestina se pol trovar ancora qualcossa a proposito de sta legenda.
Sta mula la iera alta e imponente, dal far aristocratico. Vestida sempre de bianco... la mula bianca per l’apunto (se no la se gavessi ciamado la mula nera e la gavessi fato la reclame dele Morositas, sculetando a tempo de musica!!). Tuti i gaveva paura de ela anca se no i podeva far a men de restar meravigliai dala sua imensa beleza... ed essendo ela un fantasma, difati la iera bela de morir!! Nisun gaveva el coragio de fermarla, nianca per chiederghe se la gavessi un cichin o comunque la cartina Modiano per farse un spagnoleto.

Un giorno sta storia la rivò ale recie de un celebre (in alora) cantante d’opera del Teatro Verdi, un zerto Cesare Lopersi.
Cesare iera alto, moro, coi oci azuri, de bon portamento, e par, a volte, anca bona forcheta. El mato el se gaveva cazà in testa l’ossession de becar la mula, e magari fermarla, e magari chiederghe de far un dueto assieme a lu, sule note de “Finanziere” de Pilat, davanti un bon bicer al’osteria de Libero Laganis (che tra l’altro la xè vizin a S. Giusto, indove che la mula la ‘ndava a riposar sototera, assieme al radicio e ai sui vermi domesticai)...

‘Na note de inizio novembre, dopo che 'l gaveva zenado magnando de tuto (anche un bel capron abruzese ala griglia, con contorno de cavial e fileti de coscia de Paolo Pichierri... i cantanti de opera xe sempre stai bone forchete) e dopo gaver fato pissin e saludado i amici, se gaveva involtizado nel suo grosso mantel, indove el tigniva sconto un pugnal. Un kriss malese per la precision, che ghe gaveva regalà tempo indrio un suo amico indian (un zerto Sandokan, che un per de anni dopo el ga ispirado un libro, scrito de Emilio Salgari.). Così conzà, el gaveva iniziado a girar per le vie de Trieste, de solo e de note come un povero mona!

Dopo gaver passado per varie vie e quartieri e el corpo de guardia de Piaza Grande, el se gaveva incaminado rente i scalini vizin al convento dele monighe a San Ciprian, e ala via del castel che la sali fin suso a S. Giusto! In lontananza, in quel momento, l’orologio dela tore del porto la gaveva batudo le ore (tute le ore de questa zità!!!) ale undese e tre quarti esate!!
La luna iluminava le strete e scure stradine de Citavecia, mal iluminade de pochi ferai. Cesare, ogni tanto incrosava solo qualche imbriago de passagio che lo vardava de storto, disendo fra de sé: “Ma chi xe sto mona che gira a sta ora per Zitavecia? N’altro alcolizado come mi?”
Ogni tanto passava anca qualche guardia de patuglia che, vardando per ben el nostro Cesare, la diseva fra de sé: “Ara ti sto mona che 'l camina de solo, col fredo, per Zitavecia, a sta ora!!”..e po’ la continuava per el suo giro de ronda...

Finalmente, vizin Piazeta Barbacan, più o men fra l’Arco de Riccardo e el negozio Nonsololibri de Darius Fontanaschulz (ex libraio de Colonia, emigrado in Triest Vrbs Fidelissima, durante l’ocupazion napoleonica), Cesare se gaveva trovado visavì con sta mula fantasma!! Alta, splendida, un model 103 co' un cumulo de curve come al mondo no ghe xe, la tigniva in man un mazeto de fiori (crisantemi apassidi, per la precision). “Caz*o!!” esclamò Cesare.
E la mula fantasma subito ghe gaveva risposto, co’ un timbro gutural e teribile che el sembrava un incroso tra la vose de Sandro Ciotti e quela de Paolo Conte pena sveio: “Mortal, no sta dir parolaze che chi disi parolaze, mori!!”
“Se te lo disi ti, te credo sula parola..” ghe gaveva ribatudo Cesare.
Alora la mula la se gaveva voltà e la gaveva continuado drita a salir suso per via del castel. Cesare, estasiado dal stupendo sguardo che el gaveva intravisto soto el vel dela mula (che po’ no iera un vel... ma un sudario!), gaveva iniziado a seguirla suso per la riva, con la bora che sufiava pena pena, cussì come un vecio asmatico in coma etilico ireversibile el sufia sule candeline dela torta del suo centoventiseiesimo complean.

Tuto un trato, rivai a S. Giusto, nel piazal de fronte ala catedral, la mula, seca, ghe gaveva intimado a Cesare: “Mortal, vatene... altrimenti, dime perché te va in giro a sta ora, de solo come un povero mona, seguindome?... Torna indrio, al’osteria de Franzeless de dove te son vignudo, altrimenti doman i legerà el tuo nome sui necrologi del bugiardel!”.
El baldo giovine Cesare (baldo giovine, insoma... se disi per dir, sicome el gaveva zà 56 anni e roti) el iera restà aterido de sta minacia, proferida in maniera cussì minaciosa. Ma po' el gaveva continuado a seguirla lo stesso, fin apresso alcune mura dirocade, drio la cesa. Ma no el gaveva più trovado nula, a parte na rosa bianca apassida, e na spuza de cadavere con contorno de pantigane in salmì (anca la mula fantasma la iera na bona forcheta!!).
Cesare alora gaveva spetà tuta la note, fin quando semi indormenzado el iera sta sveià de un scovazin comunal che ghe ga zigado, incazado nero: “Va a casa a dormir, stupido!! Coss’te se dismissi qua per tera in sto ludame, come un povero mona?”

La note seguente, Cesare el iera ritornado, imperterito, in Piazeta Barbacan...
Ale undese e tre quarti, eco che la mula ghe iera aparsa de novo! Subito el nostro Cesare gaveva zercado de fermarla... e la mula, alora ghe gaveva dito: “Ancora qua te son che te scassi los marronaros de Sevilla... ? Ma va a dormir mona!!”
Ma Cesare la gaveva ciolta per un brazo...  -“Mortal, lassime el brazo, e metite le mani in tel daur!!”
“No”, disse Cesare..."... dopo gaver visto de sfugida el tuo bel volto, go capì che te amo e te bramo... ti cussì bela no te pol esser de sicuro na defunta, anca se te ga na vose ranzida de defunta... ma tante mule le ga na vose cussì, per colpa dele ciche. El fumo fa mal, e no xe na novità!”
“Mortal, te son duro come un scalin de Montuza... va a smaltir la piomba al’osteria al’istrian, de dove che te son vignudo, altrimenti te mazzo qui sul posto, te ga capì?”
“No”, disse alora Cesare Ragazzi... ehm voio dir Cesare Maldini, no... ehm, come 'l se ciamava? Ah sì, Cesare Lopersi. “No ghe credo ai fantasmi formagini... voio veder per ben el tuo viso, anca perché de drio no go visto ben, e te sa come che se disi; de drio liceo e davanti museo! ... e alora no volessi... te me ga capì, dei! ”
“Mortal... ”, ghe gaveva intimà ancora na volta la mula bianca, “te me son simpatico in fondo, anca se no te son altro che un povero mona, e pure un po’ maniaco sessual, e zonteria, a ragion, anca un fià necrofilo... Bon, te acontenterò. Ma a tre sole condizioni... ”
“Tuto quel che te vol belissima, cocolissima, simpaticissima, piena de vita... ehm, cioè volevo dir pien de morte, però sempre vital!!!” ghe gaveva risposto de rimando Cesare Cadeo... ehm, voio dir Cesare Lopersi.

Alora la mula, disse: “Prima te me dirà el tuo nome, poi te me lasserà la mia man che te tien streta, fazendome mal e de fato rompendome teribilmente i c*ioni, e infin te me prometerà che pena te me gaverà visto in facia, te girerà la testa de quel'altra parte, fin al momento che baterò una man sul’altra… ”
“Bon... alora mi me ciamo Cesare Lopersi, e canto al Verdi ,che ancora no 'l se ciama cussì, ma sicome sto raconto i lo legerà su Internet, nel 21° secolo, per comodità de lori lo ciamo zà Teatro Verdi!!”
“Ah... ti te son el famoso tenor bonculovich Cesare L. ? Sa che fin desso te gavevo scambiado per Umberto Lupi?”
Subito dopo, Cesare ghe gaveva lassà la man, ormai cricada, de sta povera mula bianca ed ela la se gaveva alzà el sudario, scoprindo un volto angelico e celestial.
Cesare, del stupor ghe ga zigado: “Caz*o!!!!!”
E ela: “Ancora parolaze? Ma te son proprio malà in testa, alora!... te ga el zervel lobotomizado oramai a furia de gorghegiar opare liriche! Comunque, doman te me rivedrà in Piaza Barbacan, sul incrocio de via del Fontanon (via Felice Venezian, per le mule e i muli del 21° secolo)... desso lassime ‘ndar, e varemengo ti e tu mar quela sporca!”

La sera dopo Cesare el iera ritornà, spetando a lungo soto la seranda sbassada de Nonsololibri, ma la mula no la aparì mai più. In compenso iera passada, giusto n’ora più tardi, na guardia civica che ghe gaveva dito: “Coss’ te fa a sta ora de note, qui de solo, distirado per tera tra le scovaze come un mona? Va a dormir, tandul de mato... ”



Nel mio pupolo qui sopra, raffiguro il fantasma della Dama Bianca, a S.Giusto, mentre fugge da Cesare Lopersi (click sul pupolo/disegno per ingrandire)


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NONETA PAPERA: Bon, muleria, la storia la finissi qua e a chi che no ghe comoda, che se la peti !!!

PAOLIN PAPERIN: Uuuuuhhhh, che bela storiela, noneta... ma che fine ga poi fato sti personaggi?

NONETA PAPERA: Cesare, pe' onorar el suo cognome, se gaveva taià, co n’aposita operazion chirurgica ad hoc, l’aparato sotostante, divenindo cussì un celebre soprano, sul model de Farinelli.

La cosideta “mula bianca” se disi che al alegi ancora ogi, in tel le noti de luna piena, lungo la via del castel che de S.Giusto la se dipana in tel’intricado e alquanto marzo tessudo de Citavecia.
Se vualtri gaverè la fortuna de incontrarla durante una de queste noti e de fermarla, ela ve risponderà, dolcemente: “Ciò, ma la gavè finida sì o no de romperme i bisi? Vara ti, iera meo che ‘ndavo in castel de Miramar a far el classico fantasma linziol che strassina cadene e ziga tuta la note, come un mona: BUUUUUUUUUAAAUUUUUUUUUU!! ”



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Finisce qui il primo racconto di Noneta Papera (spero piacevole per i lettori).

Torneremo altre sere in quest'antica soffitta, per rimembrare, con un pizzico di Disneyan-patoco, altri affascinanti racconti e leggende su Trieste!

A presto, mularia mata...


    René

mercoledì 6 giugno 2012

ALCUNI PENSIERI




Quando anche l'ultima stella non avrà più lacrime brillanti,
l'universo s'addormenterà per sempre, senza più pensieri belli o brutti. 

Succederà durante il suono appassionato 
d'un clarinetto sognante,
nella notte cangiante,
rivestita di mille e più desideri inespressi.

Desideri 
rimasti a lungo inespressi
come la rugiada sui tuoi grandi occhi tristi
e ormai profondamente dismessi,
che scrutano stancamente l'arrivo dell'alba,
cercando un po' di pace nell'anima a lungo turbata,
affranta e dispersa 
tra onde di doppio malto
immerse in disgustose nebbie di nicotina.

E quando questa rugiada ti scivola giù, 
lentamente, verso il cuore,
vien voglia di aprire le finestre
per cercare di afferrare quell'ultima chance in procinto di traslocare altrove,
in un luogo dov'essa potrà essere ascoltata
con più attenzione.


Aspettando che, in fondo, pure l'ultimo treno possa ritornare nella nostra stazione.


Solo sognando, un biglietto per ciascuno ce lo possiamo ancora permettere.


    René




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domenica 3 giugno 2012

IL COCALO BIANCO: RARISSIMO SQUALO ALATO CHE NIDIFICA A TRIESTE !



Un rarissimo esemplare di COCALO BIANCO (nome scementifico: Larinaearodon carcharias), abbastanza raro, avvistabile presso le coste triestine.

Va avvicinato e preso con molta cautela, poiché è abbastanza pericoloso, soprattutto se lo si prende per il didietro!!!



I cocali bianchi (Larinaearodon carcharias, Slinguazanneus, 1811) sono una sottoclasse di vertebrati leucocitospatoropodi che si trovano in quasi tutti gli ecosistemi costieri triestini, da Duino a Muggia.
A seconda delle varie correnti seguite dai tassonomi anfibi, il numero di specie di cocali bianchi conosciuti finora oscilla fra le 9,0 e le 10,... (boh) dei quali almeno 120 si sono estinti dopo la scomparsa del TLT (Territorio Libero di Trieste).

I cocali bianchi mangiano di tutto, soprattutto le Ljubljanske di Gianni.


    prof. René - Università di Jena