venerdì 28 ottobre 2011

EL NONETO - "CO' IERIMO PUTEI... " (Carpinteri & Faraguna)

 Bonasera, mularia mata...

Oggi vi presento “El Noneto”, una storica figura caratteristica, creata dal famoso duo di scrittori ed autori teatrali e radiofonici Lino Carpinteri e Mariano Faraguna (nel pupolo sottostante, una mia interpretazione grafica dello stesso).



Quale sia l'età felice
nessun nessun lo sa
Come l'araba fenice
dove sia nessun lo sa...

Il suo nome è un gran segreto
si sa solo che
si sa solo che è il Noneto
Chissà chissà chi è...


“El Noneto”, è un anziano nonnetto triestino, che con nostalgia mista ad impeti di gioia, orgoglio e commozione, ricorda i bei tempi passati, “co’ ierimo putei” sotto la “Defonta"...
Un personaggio, al tempo stesso tragicamente malinconico, ironico e disincantato che, non riuscendo ad abituarsi agli anni che passano e, soprattutto, alla modernità circostante priva di particolari valori, situazioni ed altro, si concede dei momenti poetici in rima, sul filo di gloriosi ricordi della sua infanzia e gioventù.
E numerose sono le scene, gli abbozzi di vita, le macchiette, le situazioni ed i periodi storici che ricorrono nelle sue memorie orali. Come, ad esempio, il proprio papà delinquente che per un motivo o per l’altro periva sempre, accidentalmente, mentre era intento a rubare qualcosa.



Altri ricordi del Noneto: i primi amori, la Trieste Austroungarica, i fatti di cronaca di quasi cent’anni fa.. tutto un corpus emotivo di storie a metà strada tra il mito e la leggenda.
Il personaggio del Noneto trovò la sua consacrazione alla radio, nello storico programma “El Campanon”, a cura degli stessi autori Carpinteri & Faraguna.
“El Noneto”, alla radio era interpretato dal brillante attore teatrale Luciano Delmestri, che lo portò anche sul palcoscenico del teatro Cristallo (ora teatro Bobbio) in due fortunati recital.
Qui sotto, vi propongo una mia personalissima e modesta interpretazione del Noneto, e, in un altro video analogo, anche della “Noneta” (la controparte femminile.. forse la sorella, apparsa solo in un racconto del libro "Serbidiola", degli stessi autori).
Ciò vuol essere solamente un sincero omaggio, da parte di un giovane morbinaro amante del folklore triestino e dei suoi miti, agli autori, e soprattutto a quei triestini che ancora ricordano con affetto le scenette radiofoniche del “Campanon”, e che hanno amato/amano questo simpatico e particolarissimo, nonché poetico personaggio.

Nel primo video, el Noneto ci ricorda i fasti del leggendario Orient Express, il quale, tanti anni fa, passava anche per Trieste!
Nel secondo video, el Noneto ricorda il famoso maniaco triestino chiamato "Omo Vespa", che nelle notti di marzo ed aprile del 1932, terrorizzava la città, andando in giro di notte a pungere dolorosamente i posteriori delle giovini fanciulle, tramite un punteruolo acuminato.
Infine, nel terzo video abbiamo (come specificato poco più sopra) la Noneta, ovvero la controparte femminile del Noneto.

Buon ascolto:





Un saludo, ala prossima, mularia mata!


      René

giovedì 20 ottobre 2011

ULTRABULLOTS.... OVVERO "CHI DICE CHE A TRIESTE EL MORBIN XE SOL PER VECI?"

Buondì a tutti... oggi a Trieste, giorno 20 ottobre 2011, fa un freddo (zima, in dialeto patoco) assai tremendo.

Ci riscaldiamo l'anima morbinara ascoltando gli UltrabulloTs? Ma chiaro che Yes!!!!

A Trieste, si usa dire (ahimé, spesso a ragione, se confrontiamo l'andazzo rispetto ad una ventina d'anni fa) che il tipico "Morbin" è ormai solo una cosa per "veceti". Nel senso che la tradizione triestina, il suo folklore e tutto ciò ad esso correlato difficilmente riesce oggi a trovar spazio presso un pubblico di giovane "mularia" triestina.

Ma, almeno secondo me, ciò è dovuto non alla sostanza, sempre ottima, bensì alla forma... mi spiego: negli anni '70, allorquando le antiche (ma mai vecchie) tradizioni folkloristiche triestine andavano sparendo assieme alle ultime generazioni di "muli" triestini (nati quando la città stava ancora sotto bandiera austriaca), un "mulon" de casa nostra, Lorenzo Pilat (Pilade), si attivò personalmente per far riscoprire anche alle giovani generazioni tutto quell'immenso e prezioso patrimonio culturale della tradizione canora patoca. Aggiungendo alle classiche canzoni triestine alcuni azzeccatissimi arrangiamenti moderni, conditi da batteria e chitarra elettrica distorta.

Un'azione di questo tipo, ultimamente, è stata intrapresa dai mitici ULTRABULLoTs! Ovvero dei giovanissimi, pazzi (nel senso simpatico del termine) e scatenati muloni che, oltre a proporre delle loro simpatiche e gradevoli composizioni, hanno avuto la felicissima idea di riproporre tanti pezzi della più classica canzone triestina in una moderna, graffiante ed accattivante veste punk-rock. Riuscendo a fare quello che solo Pilat, in gran parte era riuscito a fare anni addietro (attenzione, senza nulla togliere a tantissimi, bravissimi autori-interpreti del genere), cioè sdoganare ad un pubblico giovanissimo questo patrimonio canoro, rinnovando la passione per questo genere che così continua imperterrito a solcare i decenni, affermandosi presso le future generazioni. 
Lo so, sto usando termini "spropositati" e trionfalistici, ma, credetemi, questi muli meritano veramente un applauso sincero e spontaneo! Poi, ripeto, sono molto simpatici e carismatici. Sanno stare sul palco, dove ci danno dentro con gli strumenti e con il loro estro (e non è assolutamente facile stare su un palco... anch'io canticchio e recito nel mio piccolo, e confermo che l'effetto di un'esibizione sul palco, qualsiasi, dalla sagra ad un teatro, è forte a livello di impatto emotivo... si può facilmente cannare se ci si lascia prendere dal minimo momento di panico). 
A me son piaciuti sin dal primo ascolto, senza esitazioni (ed io sono un "sufistico" per natura, specie verso le nuove proposte musicali).

Ad un recente Festival della Canzone Triestina, hanno saputo imporsi immediatamente, dando una piacevole ventata di novità alla manifestazione stessa! 

Gli ULTRABULLoTs si possono ascoltare soprattutto d'estate, soprattutto alla sagra di Campanelle (che no xe Costalunga).

Vi propongo qui sotto alcuni link ai loro siti, e soprattutto un paio di video:

Sito Myspace degli ULTRABULLoTS 

Pagina Facebook degli ULTRABULLoTs 

Qui sotto, una rielaborazione della mitica "YUPI YUPI ALA (ALA MATINA EL MARI' VA A LAVORAR)" ad opera dei muloni:

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Qui sotto, gli ULTRABULLoTs al Festival della Canzone Triestina (2009):

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Qui sotto, gli ULTRABULLoTs live in sagra di Campanelle (che no xe Costalunga):

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Un saludo mularia mata, a presto!


   René

"TRIESTE PATOCA"... ANCHE SU FACEBOOK

Bonasera a tuti... ogi scrivo solo in patoco puro!


Come de titolo qua sora, "Trieste patoca" xe anca su Faciadelibro, co' na pagineta tuta sua. Cussì, giusto pe' farse un fià de réclame.



Eco el link (chi che vol, pol clicarghe me piasi, cussì el verà agiornado anca lì): 

Struche qua per verzer la pagina Facebook de TRIESTE PATOCA



Saludi, a presto mularia mata

   René

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giovedì 6 ottobre 2011

UN BICER DE DALMATO - CRONISTORIA DELLA LEGGENDARIA OSTERIA "AL PAPPAGALLO" DI TRIESTE




Le antiche osterie triestine erano un tempo dei luoghi di ritrovo, e non solo squallidi bettoloni per avvinazzati. In queste osterie, ci si raccontavano storie e si commentavano gli argomenti del giorno, sia quelli personali che collettivi. Da questi discorsi che scaturivano tra una bevuta e l'altra, venivano presi i fatti più particolari ed interessanti per poi venir tramandati nel tempo dai cantastorie di passaggio, come Paolo Razza detto "l'orbo"! Quest'ultimo, ex operaio dell'ex cantiere San Marco e riparatore di armoniche diatoniche, strumento tipico triestino, allora molto diffuso. Paolo Razza, ad esempio, rese celebre la canzone dedicata dal popolo ad Antonio Freno.

La più famosa osteria triestina fu, a cavallo tra gli ultimi due decenni dell'800 ed i primi del '900, l'antica trattoria-osteria "del Dalmata", gestita appunto da due dalmati, a partire dagli inizi del 1880. Essa, fino alla prima metà degli anni trenta, si trovava ubicata in Via dei Capitelli, al num.4, subito all'inizio, sul lato sinistro scendendo da Piazzetta Barbacan.
Bisogna precisare che alla fine dell'800, la Via dei Capitelli era una bella via di tutto rispetto, con numerose case patrizie. Solo verso la prima metà del '900 iniziò un lento, ma inesorabile declino, dovuto alla vetustà ed al relativo spopolamento della Cittavecchia, e dal proliferare delle numerose case di tolleranza, tra cui la famosa casa detta "La Francese" (di cui già ne parlai qui: Cliche qua... ma no ghe xe sporchezi, solo storia   ).



Dentro l'osteria, l'ambiente era un misto di rustico e spartano, ma senza la decadente sporcizia dei bettoloni di quarto grado, citati all'inizio di questo scritto.
L'entrata era costituita da una piccola porticina di legno a due ante, con vicino due finestrelle. La porticina era alta sì e no uno scarsissimo metro e 60. Una seconda entrata di servizio, invece, si trovava nel cortile interno... una porticina minuscola che sbucava subito dietro Androna della Pergola.

(Cliccando sul pupolo, potete visualizzare in grande la porticina d'accesso, così come si presentava a fine'800):



Subito all'entrata, scese tre piccole scalette di legno, si entrava in un ambiente diviso in due piccole stanze, con nel mezzo un muro divisore. Sul lato destro dell'entrata c'erano il bancone ed un cucinino. Di fronte i tavoli rettangolari con panche e seggiolini di legno grezzo. Il pavimento era composto da lastroni di pietra calcarea del carso, ricoperti da tavole in legno. Di sera l'illuminazione era garantita da due beccucci a gas.
In tale osteria si potevano degustare degli ottimi vini, quasi tutti di provenienza dalmata, tra cui la specialità della casa: un Opollo di Lissa che più buono non si poteva!!
Un giorno leggendario, nel 1885, entrò un'allegra compagnia di gentlemen per bersi "un litro de quel bon".
La compagnia era formata dagli scultori Rendich e Taddio, dall'avvocato Camber ed Ettore Dell'Acqua, nipote del celebre pittore. Poi c'era anche il tipografo Augusto Levi.
Visto che il vino era buonissimo, questi signori decisero di fare dell'osteria il loro quartier generale di ritrovo. Cambiarono il nome alla stessa, denominandola scherzosamente Osteria "Al Pappagallo". Loro stessi si autodefinirono "Tribù dei Papagai". Dando così vita ad una celebre compagnia di "matarane" (mattacchioni) che combinò nel tempo tutta una serie di scherzi e di trovate al limite dell'assurdo più completo.... questo era il Vero MORBIN, a Trieste. Quando, in tempi di mancanza di tv, computer, stereo, radio, ecc.. (tutte cose che sarebbero state inventate tantissimi decenni più tardi), si ovviava alla noia nel tempo libero, prendendo a pretesto qualsiasi cosa potesse far suscitare ilarità ed un minimo momento di sana, autentica.... direi PATOCA allegria!

(Qui sotto una mia interpretazione di com'era l'osteria al suo interno nel primo '900, con l'allegra brigata detta "Tribù dei Papagai... cliccando sul pupolo, potete vederlo in grande):


                                                                                                                                                         

A questa compagnia, pochissimo dopo si unì un altro storico avventore, anch'egli di origine dalmata; il famoso compositore Franz von Suppé, che a Trieste era di casa. Suppé, non si faceva mai mancare, nei suoi soggiorni triestini, una capatina all'Osteria Al Pappagallo. Soprattutto dopo aver fatto conoscenza della Tribù dei Papagai, divenendone egli stesso membro attivissimo. (  clichè qui per la biografia de Suppé )
Gli scherzacci dell'allegra brigata, vennero denominati "papagalade".

Nella foto sottostante, il compositore Franz von Suppé:


La prima papagalada, fu l'istituzione, all'interno dello stesso locale, del "Museo Umoristico permanente". Tale museo umoristico riscosse notevole successo, estendendo a quasi tutta la città la fama del locale, rendendolo di fatto "eterno".
La seconda papagalada fu una strampalatissima festa nella Villa Murat (uno degli ultimi baluardi napoleonici dell'inzio '800, allorquando Trieste fu per un periodo sotto dominazione francese). La villa fu affittata per un'intera serata, e addobbata in stile "pappagallesco". Il ballo doveva simboleggiare un'unione fra le varie classi sociali cittadine, così per l'occasione fu imposto agli uomini di intervenire in abito… misto: frac, sparato bianco, collo e cravatta alla «scartozzeto» (impiegato), «rasca» e «papuzze» (berretto a visiera e pantofole friulane) con facoltà di usare il cilindro, ma in questo caso il portatore doveva calzare scarpe da montagna (crovatini).
Tale ballo fu un successo senza precedenti, ed il "casin" (inteso, ovviamente, come rumore) si sentì fino a Punta Sdobba!!!!

Tante, poi, furono negli anni le papagalade, e tanti motivi popolari nacquero all'interno della stessa osteria, come la "Flon-Flon" (meglio nota, ancor oggi, come "Ai Bai tu me la darai", e dedicata alla Flon-Flon, nota prostituta dell'epoca), o i primissimi versi de "El Tran de Opcina".

Tanti furono gli artisti ed intellettuali che si susseguirono senza sosta, nel locale. Tra questi, vi fu anche Ettore Schmitz, alias Italo Svevo, che assieme al suo insegnante di inglese James Joyce, era solito passare una volta alla settimana per bere il buon Opollo assieme allo stesso Joyce.
In questi stessi ambienti, numerosi furono anche i cantanti d'opera, professionisti o semplicemente improvvisati. Ma anche tantissimi coristi del Teatro Verdi, vogliosi di far sapere agli avventori ed alla gente che pure loro erano in grado di cantare bene come i tenori ed i baritoni d'opera.

Qui sotto, l'osteria nel 1932, da me pupolata in alcune vignette semiserie, in stile Disneyan-patoco:

                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                       
                                                                                                                                                       

                                                                                                                                                       


Già però nel 1908, l'osteria subì un notevole cambiamento con il restauro completo che stravolse gran parte del locale, rendendolo quasi un posto chic, alla moda insomma. Così, alcuni membri decisero di trasferirsi altrove, come all'osteria "Alla bella America" di Via Crosada 13.
Da questo restauro, iniziò il declino dell'osteria. All'inizio degli anni trenta c'erano ancora dei "Papagai" dediti alle papagalade... ma erano solo degli avvinazzati di bassa categoria, che dopo magari aver frequentato qualche ora nei bordelli vicini, andavano ad ubriacarsi di brutto, rendendo l'osteria un luogo poco raccomandabile. Difatti, verso l'inizio dei lavori del piano regolatore di Cittavecchia, iniziati nel 1935, l'osteria chiuse i battenti per sempre!
Fino alla chiusura della via, agli inizi degli anni '90, era possibile vedere ancora l'ingresso e le due finestrelle. Ingresso con le doppie ante chiuse con un catenaccio, posto su un legno oramai marcio e rinsecchito. Lo stesso stabile era mezzo crollato, in stato di totale abbandono. Subito sopra l'ingresso, sempre fino alla partenza dei lavori di restauro del progetto Urban dei primi anni 2000, si poteva vedere dipinta sul muro una scritta in francese, "Poissonnerie" contornata da due crostacei. Era una scritta in stile antico, ma falsissima, apposta (assieme ad altre nei dintorni) alla fine degli anni '60 da una troupe cinematografica che volle ricreare tra quelle viuzze abbandonate l'ambientazione di un quartiere di Marsiglia.
L'edificio è stato recentemente restaurato, senza lasciar più traccia dell'antica osteria, divenendo così un moderno palazzo (dalla discutibile archittetura, considerato il luogo storico), atto ad ospitare comunità di studenti.


                                                                                                                                                          
Qui in basso, una prima foto risalente agli anni 20, che ci mostra l'osteria Al Pappagallo... quella sulla destra, al centro della foto (la porticina e le due finestrelle)... la foto più sotto, l'osteria oramai in stato di totale abbandono, negli anni '80:

                                                                                                                                                          

Ritornando alla canzone popolare "Un bicer de Dalmato", faccio notare che esiste anche una versione (in lingua italiana) incisa dal grande cantante francese (ma di origini italiane) Yves Montand!
Qui di seguito, vi propongo un pupolo + il testo della canzone "Un bicer de dalmato" (come sempre, cliccateci sopra per visualizzarlo in grande), raffigurante il solito Paolin Paperin patoco (lo trovate qui: clichè sora sto link per Paolin Paperin   e qui:  clichè anca qui, se ve par  ). Sotto ad esso, un mio videoslide, composto in parte da alcuni miei "pupoli" semiseri in tema, dove possiamo ascoltare una bella interpretazione da parte di Lorenzo Pilat, del noto pezzo popolare (nato proprio tra le mura dell'osteria raccontata sin qui) "Un bicer de Dalmato"... buon ascolto, e alla prossima mularia mata!


    René