Bondì, mularia mata...
Un mio post pieno di miei pupoli - fumetti e materiale vario dedicato alla storia del famoso incidente del Tran de Opcina. Un deragliamento dal quale nacque poi la famosa canzonetta folkloristica.
Un mio post pieno di miei pupoli - fumetti e materiale vario dedicato alla storia del famoso incidente del Tran de Opcina. Un deragliamento dal quale nacque poi la famosa canzonetta folkloristica.
E ANCA EL TRAM DE OPCINA XE NATO DISGRAZIA’ – STORIA
DELL’INCIDENTE DEL 1902
Trieste, venerdì 10 ottobre
1902, ore 8.00 del mattino.
In piazza della Caserma (l’odierna piazza Oberdan) s’attende invano
l’arrivo del tram di Opicina, inaugurato solo da un mese. La gente,
esterrefatta, parla di una notizia giunta da poco alle loro orecchie tramite
alcuni abitanti di Scorcola scesi a valle: pare che il tram sia deragliato a
monte, e ci sarebbero pure dei feriti.
Le “ciacole” volano di bocca in bocca;
- “La ga
sentì, Siora Ilde? El tram el xe ‘ndà fora da le sine, e po par che ‘l se gabì
struzà contro na casa. I disi anca che ghe saria dei feriti e adiritura dei
morti, santo ciel!”
In piazzetta Scorcola, alcune persone guardano verso l’alto, cercando
di scorgere qualcosa (nel 1902 c’erano poche case e molti terreni, e la vista
era libera fino all’altezza del colle di Romagna).
Poco dopo, la Società Anonima delle
Piccole Ferrovie di Trieste che gestisce la linea Trieste-Opcina, dirama il
seguente comunicato:
Questa mattina
alle ore 7 e 3 minuti, il vagone motore n. 2 deragliò in discesa presso la
stazione di Scorcola al chilometro 1.5 dando di cozzo all’angolo della casa
colà situata. Un operaio addetto alla linea rimase ferito. La ripresa
dell’esercizio avverrà appena la Commissione dell’Ispettorato generale delle
Ferrovie avrà ultimato i suoi rilievi.
Società Anonima
delle Piccole Ferrovie di Trieste
In città non si parla d’altro, e i primi giornali iniziano a render
conto alla gente dell’accaduto. Come “Il Piccolo della Sera”, ma anche
“L’Indipendente”, il “Triester Zeitung”, “L’Adria” e “L’Osservatore Triestino”
(considerazione assolutamente personale: bei tempi quando non c’era il
monopolio di una sola testata).
Ovviamente tutti questi giornali contengono versioni dell’accaduto che
differiscono in alcuni particolari, ma di fatto tutti concordano
sull’incidente.
“L’Osservatore Triestino” in un’edizione straordinaria serale scrive: “Questamane
alle 7, in seguito al mancato riempimento dell’apposito recipiente con sabbia
in un carrozzone della nuova linea Trieste-Opcina, questo poco dopo la fermata
di via Romagna, non obbedendo al freno, scese precipitosamente, uscì dalle
rotaie ed andò a cozzare contro la casetta Spechar danneggiandola sensibilmente.
Il carrozzone si sfasciò completamente arrecando alla Società un danno di circa
25.000 corone. Sul carrozzone si trovavano il frenatore Anton Sossich, il
fattorino Valentin Schnabl, ed i lavoratori Rudolf Simonich e Francesco Orel.
Questi vista l’imminenza del pericolo saltarono a terra; il Sossich riportò la
frattura alla clavicola ed escoriazioni in varie parti del corpo e fu
trasportato all’Ospedale; il Simonich rimase ferito leggermente e fu curato
dalla Guardia medica; gli altri rimasero illesi. I primi rilievi furono assolti
dal consigliere di polizia sig. commissario Frenner e quindi si recò sopra
luogo la Commissione giudiziaria. Il movimento sulla linea è sospeso sino
all’esaurimento dei rilievi stessi.”
La casetta Spechar -allora di proprietà di Francesco Spechar, e in
parte affittata al gioielliere Natale Napoleone e gentile Signora- esiste
tuttora! Recentemente è stata pure restaurata, recuperando un aspetto rurale
che le si confà pienamente.
“Vignindo zo’ de Scorcola na casa ga ribaltà”…
Come spiegato dall’Osservatore Triestino, venne istituita una
Commissione d’inchiesta giunta apposta da Vienna, e presieduta dall’Ispettorato
Generale delle Ferrovie e dalla Polizia.
L’I.R. Ispettore di Polizia Pertot, giunto intorno alle 8.30 sul luogo
dell’accaduto, ovvero la curva di Romagna all’altezza della casetta Spechar
(tuttora esistente e restaurata), riporta la seguente descrizione:
“Sul tratto dentato della ferrovia per
Opicina, sopra la stazione di Romagna, dove si trova la rimessa della suddetta
ferrovia, stava un carrozzone deragliato. Tetto, porte e ogni altra parte in
legno erano completamente ridotte in frantumi, mentre il restante macchinario
di metallo era, ove parzialmente, ove completamente schiacciato e contorto.
Sulla parte sinistra del carrozzone, davanti ad esso, stava sgretolato il muro
posteriore di una casa di campagna appartenente a Francesco Spechar,
contrassegnata col numero 357 di Scorcola, cosicché si potevano vedere i mobili
della stanza da letto posta al primo (ed unico) piano. Alcuni passi più su era
un palo in legno della conduttura elettrica aerea spezzato all’altezza di circa
cm. 70 da terra e la parte troncata era a terra, rivolta verso la suddetta
casetta.
Il frenatore del carrozzone Rudolf Simonich, fu Rudolf, 26 anni, di
Tscherhembel, Carniola, celibe, residente ad Opicina al numero 194 ed il
conduttore stesso, Valentin Schnabl, di Gregor, 32 anni, di Hohenthurm,
distretto di Leibnitz, Stiria, celibe, residente ad Opicina al num. 209 hanno
fornito la seguente spiegazione dell’accaduto: alle 6.42 partivano da Opicina
con il carrozzone che porta il num. 2; era il secondo carrozzone che aveva
lasciato Opicina quel giorno; i freni, sia quello automatico sia quello manuale
erano in perfetto ordine alla partenza e funzionavano come prescritto durante
il percorso.
Nel carrozzone, oltre a loro, si trovavano già da Opicina,
l’operaio Sossich Anton, di Anton, 24 anni, nato e residente ad Opicina al num.
291 e l’operaio Oren Francesco, di Giovanni, residente a Conconello, salito sul
tratto tra Banne e Conconello.
Il carrozzone compì il tratto tra Opicina e
la fermata di Cologna senza impedimenti e poi si fermò per consentire
all’Ispettore superiore di Finanza, Josef Rom, di effettuare il controllo
previsto.
Quindi il carrozzone si rimise in moto; dopo
alcuni metri si agì come prescritto sia con il freno a mano sia con quello manuale.
Il carrozzone però cominciò a slittare sul binario umido di rugiada e
scivoloso, e continuò a slittare anche se il frenatore agiva sull’apparecchio
meccanico per la distribuzione della sabbia.
Sempre slittando, il carrozzone
continuò la sua corsa con velocità crescente fino alla stazione di Scorcola,
che ha una pendenza del 72 per 1000.
Su questo tratto l’operaio Oren saltò dal
carrozzone prevedendo ciò che poteva capitare e restò totalmente illeso.
Il
carrozzone superò, senza che il personale di servizio potesse fermarlo, il
tratto di stazione di Scorcola e prima che giungesse il tratto dentato, che ha
una pendenza del 25 per 1000, saltarono a terra anche lo Schnabl e il Simonich.
L’operaio-frenatore Sossich rimase nel carrozzone, che compiva ad una velocità folle
circa 200 metri prima di uscire dalle rotaie, dopo aver colpito un palo di
legno della conduttura aerea. Lo spezzò in due e la punta colpì l’angolo della
casa Spechar, demolendo il muro.
L’operaio Sossich venne estratto ferito dai
rottami. Se il carrozzone non fosse deragliato in quel punto, si sarebbe
scontrato con un convoglio in salita, che sopraggiungeva. Sia il conduttore sia
il frenatore affermano che entrambi i freni funzionavano e vennero azionati. In
base alle risultanze finora emerse solo può essere imputato ai summenzionati
che essi avevano lasciato sulla piattaforma posteriore anziché su quella
anteriore, come prescritto, il recipiente della sabbia per poterla versare
manualmente sui binari qualora non avesse funzionato il distributore automatico
(cosa che d’altra parte non potevano constatare senza scendere dal carrozzone).
All’insufficiente quantità di sabbia versata sul binario si riconduce la causa
dell’incidente. Sul luogo si recò per i rilievi di legge la commissione
giudiziale e la commissione del Magistrato civico che ha sospeso l’esercizio
fino a nuovo avviso.”
Intorno a mezzogiorno giunge sul luogo
dell’incidente la commissione del Magistrato civico composta dall’ingegner
Turri e dal dottor. Jellersitz, i quali riguardo alla situazione della casetta
Spechar colpita dal tram deragliato, scrissero: “Lo stabile n. 357 di Scorcola,
di proprietà di Francesco Spechar, è in condizioni tali da richiedere la
demolizione, ordinando prontamente il relativo sloggio e ciò anche perché oltre
i danni producesti dalla catastrofe, essa si trova a distanza di 2 metri dal
binario ed è costruita in modo contrario alle prescrizioni di legge.”
Insomma (delle somme dei somari della somalia), ‘sto povero Spechar el
xe beco do’ volte!!!
Qui sotto, l'unica foto esistente dell'incidente:
Il giorno successivo, i giornali riportano i fatti con dovizia di
particolari, anche se –come precedentemente scritto più sopra- le versioni
differiscono tra di loro. Ecco qui sotto due riproduzioni di articoli di sabato
11 ottobre 1902:
“L’Osservatore Triestino” di Lunedì 13 ottobre 1902:
Espletate le varie formalità e
condotti tutti i rilievi di rito, il servizio riprese regolarmente il 13
ottobre.
Il processo, invece, durò abbastanza ma poi si concluse con
l’assoluzione del frenatore Sossich.
Poche settimane dopo il famigerato incidente, sulla linea vennero
adottate delle misure di sicurezza; venne costruito a Vetta Scorcola un
apposito binario tronco con relativo scambio, allo scopo di deviare un
eventuale tram fuori controllo impedendogli di raggiungere il tratto ripido a
cremagliera. Vennero pure assunti tre nuovi cantonieri con il compito di
spargere sabbia sui punti più pendenti della linea, nelle giornate di bora e
pioggia. Su tutti i tram venne calettata una ruota dentata folle dotata di
freno a nastro supplementare, al fine di aumentare la sicurezza di marcia in
discesa. Infine, i tratti di binario tra Banne e Conconello, dove la pendenza
supera il 70%, vennero armati con dentiera cremagliera di tipo Strub (la stessa
della salita da Piazzetta Scorcola sino all’omonima vetta).
La storia dell’incidente finisce qui… ma anche no. Facciamo un salto in
avanti nel tempo, giungendo sino all’anno 1976; nella casetta Spechar si stanno
facendo dei lavori di ristrutturazione del pavimento. Ad un tratto, rimuovendo
alcune vecchie pietre per fare posto ad un nuovo solaio isolato dalla terra
nuda, al fine di ridurre l’umidità e di migliorare l’ambiente della casa, sotto
un po’ di terriccio, proprio nel punto dove 74 anni prima avvenne l’incidente,
salta fuori un vecchio pezzo di lamiera: è una targhetta gialla con sopra
scritto: NON SPORGERSI!
Fra la sorpresa generale, appare subito
chiaro che quella targhetta è un pezzo della motrice n. 2, rimasta dimenticata
là sotto per oltre 70 anni !!!
Qui sotto, una foto del 1972 scattata nell'esatto punto del deragliamento; la casetta sulla sinistra è casetta Spechar, ovvero la casa ribaltada dal tran (foto Macovaz).
LA FAMOSA CANZONETTA
L’incidente del 1902 ispirò sin da subito nel popolo l’idea per una
canzonetta, in parte parodia di un’altra canzone dialettale d’autore e in parte
di una marcia asburgica.
La canzonetta d’autore dal quale si prese in gran parte spunto, era “Le
cotole strete”, motivo di Ettore Generini e Giorgio Ballig scritta nel 1911 per
un concorso di canzonette dialettali, ma successivamente scartata.
Qui una parte del testo:
“Xe tuti sforzi inutili,
te ga cossa sufiar,
le cotole ‘sto ano,
no ti te pol alzar;
Ti zerchi el lato debole,
fis’ciando in tuti i ton,
ma ti fa fiasco, còcola,
sbassà resta el tendon.”
Tale canzonetta venne poi meglio sviluppata musicalmente dal Maestro
Franz Zitta, seguendo l’ispirazione popolare, e così nel luglio 1916, per le
Edizioni Schmidl, nacque “La nova bora”, da tutti fin da subito rinominata “El
Tran de Opcina”!
Il testo completo della canzonetta è lungo, e comunque non esaustivo
poiché sempre il popolo negli anni v’aggiunse numerose altre strofette.
Comunque, ecco qui il testo lungo:
“E anca el Tran de Opcina
Xe nato disgrazià:
vignindo zo’ pe’ Scorcola
‘na casa el ga ribaltà.
Bona de Dio
Che iera giorno de lavor
E drento no ghe iera
Che ‘l povero frenador.
E come la bora che vien e che va
I disi che ‘l mondo se ga ribaltà. (ripetuta poi un’altra
volta)
Co’ ‘l due se va a Servola,
co’ ‘l quatro in Arsenal,
co’ ‘l sie se va a Barcola,
co’ ‘l cinque in Ospedal.
Co’ l’uno al zimitero,
co’ ‘l sete ala stazion.
Co’ ‘l nove in manicomio
E co’ ‘l diese in canon!
E anca ste mulete tute mate pe’ ‘l capel
Le zerca de ‘compagnarse a qualche bel putel.
Ma co’ le riva a casa, se senti un gran bordel
E pare, mare e fia copa zimisi co’ ‘l martel.
E anca el Tran de Servola
Xe nato disgrazià:
corendo in galeria
in piaza el xe sbrissà.
Drento ghe iera
Diverso personal
Che se ga ribaltado
E se ga fato mal.
E anca el Tran de Servola
Xe nato disgrazià:
rivà fora del tunel
no ‘l se ga più fermà.
Bona de Dio
Che ghe iera el parador,
se no l’andava in piaza
e ‘l finiva in pissador!
Le mule triestine
Xe tropo carigade:
le ga lassà le cotole
per mèterse le braghe.
Le gira in motoreta
Tignindose ‘l capel
Le fuma come cògome
Legendo el “Grand Hotel”.
L’Italia ga pan bianco,
la Francia ga bon vin,
Trieste ga putele
Tute piene de morbin.
Carbon ga l’Inghiltera,
la Russia ga ‘l cavial
e l’Austria ga capuzi
che no se pol magnar.
‘Ste siore sute sute
Con tanto de capel
Le volaria confonderse
Con qualche bel putel.
La sera che xe in casa
Le tira zo’ el capel
E pare, mare e fia
Copa pùlisi co’ ‘l martel.
Andando zo’ pe’ ‘l Corso
Mama mia coss’ che go visto:
do babe che fazeva
un baruffo pe’ un Cristo.
E una zuca forte
Quel’altra tira pian:
a una ghe resta ‘l Cristo
e a l’altra la crose in man!
E anca el Làntuer cinque
Xe nato disgrazià:
‘ndando su in Galizia
In quaranta i xe restà.
Ma el Novantasete
Più furbo lux e stà:
el ga fato piramide
e po ‘l ghe la ga dà!
El mulo Gigi Gnampolo
De mi xe inamorado,
mi che no son difizile
ghe voio ben de cor.
Mi fazo la modista
E Gigi fa el sofér;
se vedi a prima vista
che se volemo ben.
Co’ sta pagheta picola
Go sete fioi che magna,
el gato, el can, la suocera:
per mi xe na cucagna!
Go buba in t’un na
gamba,
No posso caminar,
E meo de cussì
Per mi no pol più ‘ndar!
Un giorno, orca madodise,
me sento un mal de denti:
me vien perfin i brividi
co penso a quei momenti,
ma mi che no bazilo
son ‘ndà de la flon Flon:
ciapemo l’automobile
e ‘ndemo a Monfalcon!
E anca sior Carleto
Xe nato disgrazià:
‘ndando fin l’Isonzo
Zo’ in acqua el xe cascà.
Bona de Dio
Che iera su cugnà,
se no ‘l finiva in smoio
in boca al bacalà.”
Un mio pupolo-fumetto del 2013, raffigurante il TRAM-SFORMERS:
Qui sotto, un video slide de “El Tran de Opcina” nell’interpretazione
di Lorenzo Pilat, anno 1973:
Qui sotto, una mia versione (sì, canto pure… ma non ballo) in chiave
blues. Alla chitarra c’è un caro amico chitarrista napoletano, Luciano Barba
alias Lucianone:
Finisce qui questo post. Grazie per l’attenzione e alla prossima!
René
Fonti:
I quotidiani “L’Osservatore
Triestino”, “L’Indipendente”, “L’Adria”, “Il Piccolo e “Il Piccolo della Sera”.
Biblioteca Civica di Trieste.
I libri “LA TRANVIA
TRIESTE-OPICINA” di
Andrea Dia (Ed. Luglio, 2016), e “LA CASA DEL TRAM DE OPCINA” di Michele Grison
(Ed. Luglio, 2002)
1 commento:
Bel racconto, interessante, che incuriosisce. Complimenti!
Mario Fragiacomo
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