Buondì, mularia mata...
Oggi inizio una nuova serie di post che spero potranno interessarvi.
Tali post sono dedicati a tutte quelle particolarità paesaggistiche di Trieste,
ma viste quand'esse erano diverse o comunque esistenti un tempo (per poi venir
successivamente demolite, tipo il forte Sanza posto sul colle di S.Vito,
demolito agli inizi del '900), quindi si parla di una “Trieste perduta”.
Per i pupoli presentati in questo post avevo consultato a lungo
-nell'estate del 2015- una nutrita consultazione di mappe, stampe e archivi
vari dell'epoca, siccome Trieste, negli anni ha subito numerose trasformazioni;
da cittadella romana a medievale, per poi passare all'abbattimento delle sue
mura medievali nel '700, creando così la città nuova, ecc...
Ad esempio, a inizio '800 il Castello di S.Giusto era molto diverso
rispetto ad oggi, così come pure la Kleine Berlin presentata più sotto.
Ma andiamo a incominciare...
TRIESTE, 1812: un soldato saluta la sua bella, prima di partire per la
Campagna di Russia.
Sullo sfondo si può notare il Castello di San Giusto, allora molto
diverso da oggi e dotato di una torretta corazzata sopra l'ingresso, con
orologio meridiana e campaniletto a vela. Torretta abbattuta nel 1820.
Sotto il castello, i numerosi orti che allora coprivano l'attuale area
con i resti della basilica romana.
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Qui, invece, l'ingresso del Castello di San Giusto, così com'esso si
presentava realmente durante l'ultima delle tre occupazioni francesi, anno
1813.
Subito sopra l'ingresso allo stesso, ad esempio, si può notare un prolungamento...
tale prolungamento non era altro che la torre corazzata (citata e mostrata
anche nel pupolo precedente) con campaniletto a vela ed orologio meridiana.
Torre risalente al '500, che venne abbattuta intorno al 1820 poiché
oramai ridotta in pessime condizioni a causa dei danneggiamenti provocati dalle
palle di cannoni inglesi lanciate dalla fregata Mildford (nell'autunno del
1813, durante l'assedio angloaustriaco al castello stesso).
A fianco dell'entrata possiamo notare pure il possente muro di difesa,
successivamente demolito verso la fine degli anni trenta del '900, nell'ambito
dei lavori di risanamento e rifacimento del colle e della cittavecchia (il
famoso "piccone risanatore", come lo definirono all'epoca).
Sull'asta del bastione rotondo sventola il vessillo di Trieste
Francese: l'alabarda e l'aquila napoleonica!
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Il castello nel 1813, visto dalla parte della Cattedrale di S.Giusto.
Subito di fronte al castello, si possono notare gli allora numerosi
orticelli e campagnette che sovrastavano l'attuale area del Foro Romano con
annesso Monumento ai Caduti.
Al centro di questi orti vi era anche un grande pozzo cisterna
collegato con la stessa vera d'acqua che ancor oggi giunge fino al vicino pozzo
romano sito sulla rampa d'accesso al castello.
Sull'asta del bastione rotondo sventola il vessillo delle Province
Illiriche di Trieste e dell'Istria.
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Interno della Casa del Capitano (Castello di San Giusto - Trieste),
autunno 1813: Charlotte Noëlle Rabié domanda al padre, Comandante della Grande
Armée locale, il motivo del trambusto che si sente fuori dalle mura del
castello ormai da giorni assediato dalle truppe angloaustriache. Il colonnello
Rabié è allarmato, perché la resa francese sta per essere firmata e le truppe
austriache ed inglesi sono oramai alle porte del castello assediato.
In particolare, il colonnello è preoccupato proprio per la giovanissima
figlia, quest'ultima da tempo concupita dal tenente austriaco Samuel Chiolich
von Loewensberg.
Secondo un'antica leggenda triestina, la figlia del Col. Rabié venne
successivamente aiutata a fuggire dal castello assediato, passando lungo alcuni
antichi passaggi sotterranei cinquecenteschi che, dai sotterranei dello stesso
castello, si dipartono a raggiera in direzione della cittavecchia.
Siamo alla fine della terza ed ultima occupazione napoleonica di
Trieste.
Sullo sfondo si può notare un elmetto morione con alabarda (risalente
al '600) ancor oggi conservato nei magazzini del castello.
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Piazza Cavana (all'incrocio con via dei Capitelli), anno 1932.
Poco prima dell'inizio dello sventramento di cittavecchia (il
"piccone risanatore" citato più sopra), quest'angolo si presentava
così. A dir la verità, non è che da allora abbia subito delle particolari
modifiche... a parte i masegni che non ci sono più, il carretto dei mussoli che
non c'è più, la bottiglieria (successivamente bar De Lucia) che non c'è più,
l'Arrigoni che non c'è più, ecc........
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Un altro pupolo fumetto di una Trieste (per fortuna) perduta; difatti
si parla di un oscuro periodo, quello dell'occupazione nazista della città
(dall'8 settembre 1943 al 1 maggio del 1945).
L'ingresso della Kleine Berlin (Piccola Berlino), bunker nazista di via
Fabio Severo (Trieste), come si presentava nel 1944: l'ingresso era corazzato e
costantemente sorvegliato notte e giorno, poiché il bunker -collegato alla
soprastante Villa Ara di via Romagna, al Tribunale e a Palazzo Ralli in Piazza
Scorcola- era di uso esclusivo dei reparti delle SS e, in particolare, del
famigerato capo della polizia tedesca di Trieste, Odilo Globocnik (uno dei più
grandi criminali nazisti della storia, vice ed amico intimo di Himmler).
Il bunker venne realizzato in tempi brevi e in super segretezza, tanto
è vero che non esiste a tutt'oggi traccia di documentazione a riguardo. Alla
progettazione del bunker lavorarono due ingegneri, un ufficiale della Wehrmacht
ed un civile boemo, di nome Salechar, ed un italiano, Donato Di Stasio. I
lavori di progettazione e realizzazione del bunker vennero loro commissionati
giorno per giorno, senza mai mostrare un disegno costruttivo completo del
bunker. Purtroppo al civile boemo furono commissionati i lavori del passaggio
tra il bunker e Villa Ara, quest'ultima sede-covo di Globocnik. Così, non
appena completato il lavoro, il boemo venne prelevato da una squadra della
morte su ordine dello stesso Globocnik, per poi venire immediatamente eliminato
siccome "sapeva troppo".
Nella stessa via, poco più a nord, si trovano i tre ingressi delle
gallerie antiaeree italiane (comunque collegate al bunker tedesco) realizzate
dalla ditta Colombo e riservate prevalentemente al personale delle poste e
delle ferrovie.
Subito dopo la fine della 2° guerra mondiale,
la copertura corazzata del bunker tedesco (quella che si vede nel mio pupolo)
venne definitivamente smantellata, ed il bunker chiuso da una porticina di
ferro fatta costruire dal settore lavori pubblici del Betfor (British Element
Trieste Force). Dopo decenni di abbandono, il bunker ed i vicini rifugi
italiani vennero esplorati per la prima volta (nel 1983) dagli speleologi
urbani della Società Adriatica di Speleologia. Successivamente, verso la fine
degli anni '90, il CAT (Club Alpinistico Triestino) prese in consegna il bunker
ed i rifugi, per poi restaurarli e renderli agibili al pubblico.
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Un malinconico e poetico Topolin Morbin (!) passa sotto l'Arco di
Riccardo, in una serena notte di primavera del 1932, sulle dolcissime e
amorevoli note di "Co' son lontan de ti (Trieste mia)", celeberrimo
pezzo nostalgico del 1925 scritto da Publio Carniel e Raimondo Cornet (autori
anche di "Una fresca bavisela (Marinaresca)", 1944).
L'Arco di Riccardo ha pure incontrato vari stravolgimenti del paesaggio
attorno a sé, nel corso dei secoli. La modifica raffigurata nel pupolo giunse
negli anni '20, allorquando si demolì il muretto seicentesco che cingeva l'arco
stesso e riportando così alla luce i resti romani presenti sotto la piazzetta
Barbacan; dopo essere stati catalogati, i resti vennero ricoperti dai masegni.
Si lasciò solo uno spazio attorno alla base esterna dell'arco proteggendola con
un passamano. Negli anni successivi, la base dell'arco venne aperta tutta fino
al lastricato di origine romana, quest'ultimo tuttora visibile.
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Alla prossima
René
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